La Stampa 8.11.16
La strategia del segretario
Caccia ai voti degli indecisi
di Marcello Sorgi
Diciamo
la verità, Matteo Renzi avrebbe potuto pronunciare un discorso
esattamente opposto a quello con cui ha chiuso domenica la Leopolda
2016. Sulla base dell’adesione al documento di modifica dell’Italicum da
parte di Cuperlo, e della sua immediata successiva sconfessione da
parte della minoranza bersaniana, il segretario del Pd avrebbe potuto
fare uno di quegli appelli all’unità, che una volta ogni tanto tocca
fare ai leader dei grandi partiti: ammettere, magari retoricamente, che
le responsabilità dei pessimi rapporti con la componente post-comunista
sono anche sue, e non solo degli oppositori interni che hanno tentato di
metterlo in difficoltà in tutti i più delicati passaggi parlamentari
del governo; e rivolgersi a tutti gli elettori di centrosinistra, anche
ai più incerti o a quelli che hanno già deciso di votare «No», per
convincerli che perdere il 4 dicembre sarebbe esiziale per il
centrosinistra.
Se invece non lo ha fatto, rintuzzando debolmente i
«fuori, fuori!» gridati dalla base leopoldina all’indirizzo della
minoranza, è per due ragioni. La prima è che, come si è visto dalle
accuse di tradimento riversatesi su Cuperlo, Bersani e i suoi non
avrebbero accettato per nessuna ragione di fare un accordo
sull’Italicum, anche se buona parte delle loro richieste sono state
accolte. Il «No» della minoranza, o di quel che ne resta, è legato
all’ipotesi, che le urne si incaricheranno di verificare, che oltre un
terzo degli elettori democrat di sinistra siano contrari alla riforma
costituzionale e chiedano di essere rappresentati, e alla convinzione
che la vittoria del «No», subito o nel giro di poco tempo, spazzerebbe
via il governo e aprirebbe la strada per un ribaltamento degli equilibri
interni nel Pd.
In questo quadro, stimolare il ripensamento di
questo tipo di elettorato a Renzi dev’essere sembrato più difficile che
non riconquistare, con una chiara rottura a sinistra, quella parte di
moderati indecisi (al momento poco meno di un terzo dell’intero
elettorato) che non si riconoscono nel «No» propugnato dal centrodestra,
dubitano di fare un favore a Grillo e soprattutto temono la caduta del
governo, il possibile avvitamento della crisi e l’avvento di un governo
tecnico chiamato a far approvare una nuova legge elettorale e a
riportare il Paese al voto. Una possibilità che i sondaggi degli ultimi
giorni, sempre più aperti, non escludono. Ieri l’istituto Demopolis, che
nelle scorse settimane si era spinto a preconizzare il «Sì» in
vantaggio, ha formulato valutazioni più prudenti, registrando nuovamente
il «No» avanti, ma insistendo sulla volatilità degli indecisi.