martedì 8 novembre 2016

Il Sole 8.11.16
Ue e Pd: Renzi tra i due «fuochi» con l’incognita del voto americano
di Lina Palmerini

L’Europa e il Pd: ieri - di nuovo - è stata la giornata in cui Renzi era tra questi due “fuochi”. Non è stata una casualità. Il premier da tempo ha scelto di trasformarli in argomenti di campagna elettorale per il referendum, scommette sui consensi che questi scontri possono portargli ma non è l’unica ragione. In effetti, non ha individuato due “nemici” a caso perché anche da loro, o soprattutto da loro, dipenderà il suo destino e quello della legislatura se non dovesse vincere la sfida del 4 dicembre.
Non sarà, infatti, ininfluente il giudizio dell’Unione europea né quello del Pd sul dopo-referendum quando Sergio Mattarella si troverà di fronte a un quadro politico cambiato dall’esito popolare. È stato così negli anni scorsi - dal 2011 al 2014 - quando Unione europea e il partito democratico hanno deciso la sorte dei governi e lo sarà pure il 5 dicembre. È forse anche per questo che Renzi comincia ad alzare il tiro contro l’ipotesi di un “governicchio”. È stato lui, domenica scorsa, dal palco della Leopolda a liquidare uno degli scenari in circolazione, che hanno come argomento principale quello che qualche tempo fa si chiamava “vincolo esterno”. Cioè, quella spinta proveniente dalle cancellerie e dai vertici europei di dare all’Italia un Governo in grado di reggere le possibili ripercussioni di una nuova instabilità.
Non sarà tanto lo spread che è controllato dall’operazione di quantitative easing di Draghi, quanto le speculazioni sul nostro sistema bancario che potrebbero costringere a scegliere quello che Renzi chiama “governicchio”. Oggi, sulla carta, sembra molto complicato e tutti nel Pd - anche i nemici del premier - lo escludono ma le circostanze potrebbero renderlo necessario. Magari perfino con il consenso dello stesso leader Pd se deciderà di dimettersi da Palazzo Chigi. Per esempio, c’è una grande questione insoluta che si chiama Monte dei Paschi. L’aumento di capitale è atteso dopo il referendum e dal suo esito potrebbe dipendere un’operazione di mercato che, se non riuscisse, potrebbe riportare sulla scena il rischio e lo spettro del bail in.
È vero anche il contrario, che la vittoria dei sì non risolverà d’incanto il difficile passaggio sulla banca di Siena ma, appunto, ci sarà un Esecutivo in carica in grado di affrontare le peggiori evenienze.
Ecco che la bordata di Renzi al governicchio non è solo un avvertimento al Pd ma nasconde il timore che la realtà politica e finanziaria possa scavalcare il suo potere di dare le carte anche in caso di sconfitta. Potrà fare prove di forza nel suo partito ma anche questo dipenderà da come sarà la sua sconfitta. Sarà sul filo di lana? Porterà a votare per il sì una percentuale come quella del voto europeo del 2014, cioè il 40 per cento? Certamente questo avrà un peso perché quei voti potrà intestarli tutti a sé e guadagnare forza contrattuale ma pure lo scenario “esterno” avrà una sua influenza. Che potrebbe indurlo a dei ripensamenti. Sia sulle sue dimissioni che sul via libera a un nuovo Esecutivo. Molto dipenderà da quello che accadrà oggi negli Stati Uniti: la spinta verso la stabilità in Italia e in Europa diventerà un’urgenza se dovesse vincere Donald Trump.