lunedì 7 novembre 2016

La Stampa 7.11.16
Il tycoon e la voglia di riscatto del popolo escluso dalla crescita
Il reddito pro-capite non è cresciuto in modo uniforme Il repubblicano invoca il protezionismo per rilanciare il lavoro
di Andrea Montanino

Un tassista di Los Angeles di origine coreana spiegava qualche giorno fa perché avrebbe votato per Donald Trump. È l’unico, secondo lui, che rimetterà al centro l’America e gli interessi americani e si batterà contro una sorta di Spectre che governa il mondo a scapito dei cittadini normali come lui.
È una tesi suggestiva, probabilmente condivisa da molti milioni di americani che, malgrado gli scandali, andranno a votare per Trump. Sono coloro che sono rimasti indietro e non hanno beneficiato dal processo di globalizzazione, quelli per cui la crisi economica del 2007-2008 non è ancora finita, che vivono fuori dai centri urbani e lontano dalle coste dell’Est e dell’Ovest.
Osservando i dati prodotti dal «Bureau of Economic Analysis», l’istituto governativo che rilascia le statistiche economiche, si osserva che in diversi Stati americani il reddito pro capite è sì cresciuto in questi anni ma a un ritmo sensibilmente inferiore rispetto alla media nazionale. In Nevada, ad esempio, il reddito pro capite era prima della crisi circa l’un per cento più alto della media Usa. Oggi è il 13 per cento più basso. Lo stesso vale per Stati elettoralmente rilevanti come la Florida, la Georgia, la Carolina del Nord che non sono chiaramente attribuibili a Hillary Clinton e che avranno un peso importante nel determinare il risultato finale delle elezioni.
Poiché non è solo il valore assoluto del reddito pro capite che conta nella percezione delle persone, ma anche quanto si sta meglio o peggio rispetto ai vicini, non c’è da stupirsi del fatto che in questi Stati la gente comune veda di buon occhio uno come Trump, soprattutto dopo otto anni di amministrazione democratica. Il candidato repubblicano dice apertamente due cose che creano l’illusione che le cose potrebbero cambiare in meglio: primo, verrà reso più difficile emigrare negli Stati Uniti, quindi il lavoro andrà a chi risiede già nel territorio. Secondo, verranno prese misure protezionistiche per tutelare le imprese nazionali.
Entrambi questi argomenti hanno presa facile su persone che hanno visto il loro reddito crescere meno degli altri e si chiedono come recuperare terreno, in una società dove la competizione e il confronto sono il pane quotidiano. Sono però argomenti pericolosi, che rischiano di impoverire l’America.
Partiamo dall’immigrazione. Gli americani stanno iniziando a vivere un fenomeno che noi italiani già conosciamo bene, quello dell’invecchiamento della popolazione: tipicamente, nelle economie avanzate, i progressi scientifici e nel campo della medicina allungano la vita media delle persone, il che è un bene. Ma i bassi tassi di natalità creano le condizioni per avere, in un tempo neanche troppo lungo, un numero eccessivo di persone non attive, rispetto a quelle in età lavorativa. Ci si chiede come una società così composta potrà mantenersi.
Negli Stati Uniti oggi ci sono 4,2 persone in età da lavoro (15-64 anni) ogni anziano (oltre i 65). Tra vent’anni questo numero crollerà a 2,7 con conseguenze sulla sostenibilità del sistema sanitario e con il rischio di una forte contrazione del tasso di crescita potenziale dell’economia a causa del basso numero di lavoratori. L’immigrazione, che generalmente coinvolge i più giovani, potrebbe invece aiutare gli Stati Uniti a contrastare questo declino.
Poi c’è l’approccio protezionistico e contro il commercio internazionale. Ma gli Stati Uniti hanno grandemente beneficiato dal commercio: secondo stime del «Business Roundtable», una lobby di imprenditori con sede a Washington, a oggi circa 41 milioni di posti di lavoro - uno su quattro – dipende direttamente o indirettamente dal commercio internazionale, il triplo di quanto avveniva fino alla metà degli Anni 90 quando gli Stati Uniti hanno iniziato a implementare l’accordo nordamericano sul commercio (Nafta). Un approccio protezionistico toglierebbe invece opportunità e occupazione, soprattutto alle piccole e medie imprese che non potrebbero sostenere i costi regolatori e tariffari associati a tale politica.
Ovviamente analisi di questo tipo non attecchiscono su chi si percepisce oggi più povero, sia rispetto a prima della crisi, sia in confronto agli altri. Ci si metta l’avversione per tutto ciò che è il potere costituito e la riapertura della questione delle e-mail, e si capisce perchè la strada di Hillary Clinton verso la presidenza degli Stati Uniti non è una marcia trionfale.