domenica 6 novembre 2016

La Stampa 6.11.16
I due film che sconvolsero la fantascienza
Prima si rivolgeva soprattutto ai bambini, con Il pianeta proibito e L’invasione degli ultracorpi il genere divenne adulto
di Stefano Della Casa

Ci sono degli anni nei quali tutto cambia sotto i nostri occhi e non ce ne accorgiamo subito. Sessant’anni fa, ad esempio, la fantascienza al cinema era considerata qualcosa che doveva soprattutto rivolgersi ai bambini oppure agli adolescenti che nei Drive In americani cercavano emozioni sullo schermo, ma soprattutto con il partner con il quale si erano appartati in macchina. Eppure proprio nel 1956 la fantascienza sul grande schermo cambia per sempre. Non è un piano studiato a tavolino, ma il combinato disposto di due film molto diversi tra loro.
Il pianeta proibito è un film nel quale una major di Hollywood, la Mgm, investe dei bei soldi e vuole un film ricco e a colori. Invece per L’invasione degli ultracorpi siamo su tutt’altro terreno: il film è in bianco e nero, lo produce la Allied (una piccola produzione di film targati «serie B») con poco più di 400.000 dollari. Il soggetto del primo film, diretto da Fred McLeod Wilcox, ha un suo quarto di nobiltà, visto che lo spunto è nientemeno che La tempesta di Shakespeare e gli effetti speciali sono realizzati da un veterano della Disney che accetta di girare il film dietro lauto compenso. Nell’Invasione degli ultracorpi invece non ci sono effetti speciali, e il regista Don Siegel (che poi diventerà il direttore preferito di Clint Eastwood) deve rinunciare a Joseph Cotten e Anne Bancroft per i più economici, ma sconosciuti Kevin McCarthy e Dana Wynter.
Ma ancora più importante è quello che i film raccontano. Il pianeta proibito narra di viaggi spaziali resi possibili da misteriose propulsioni, ma il cuore della vicenda è che un vecchio signore interpretato da Walter Pidgeon (dieci anni prima candidato all’Oscar per La signora Miniver) ha degli strani sogni sul pianeta in cui vive. E in quei sogni si concretizza il male ereditato dalla popolazione che un tempo abitava quel pianeta: insomma, siamo nella trascrizione spaziale di quella psicanalisi che negli Anni Cinquanta faceva capolino in tutto il cinema americano più interessante raccontando il disagio che circolava nella società.
Il robot Robbie
Se a questo aggiungiamo che appare per la prima volta un robot che applica integralmente le leggi della robotica proposte da Asimov (non può recare danno a un umano; deve sempre obbedirgli; è autorizzato a preservare la propria integrità purché questo non contraddica le due leggi precedenti), noteremo che la vicenda è molto più complessa di quelle che circolavano quando in precedenza si vedevano astronavi in giro per la galassia. I personaggi non hanno i nomi di quelli shakespeariani, ma l’entità assassina che possiede la mente del protagonista ricorda molto lo spirito che incombe su Prospero. E il robot Robbie (che ha in Italia la voce di un giovanissimo Alberto Lupo) avrà vita in molti altri film, arrivando dritto fino alla saga fantascientifica più longeva, quella di Star Trek.
Invece Don Siegel per il suo L’invasione degli ultracorpi, di soldi ne ha molto pochi. In compenso ha molte idee: le sue, che riguardano il modo asciutto e ritmato con il quale narra l’azione e quelle dei collaboratori (soprattutto di un giovanissimo Sam Peckinpah, che nei titoli non appare ma scrive gran parte dei dialoghi e si ritaglia anche il piccolo ruolo di un idraulico). Il romanzo di Jack Finney esce nel 1954, e la Allied capisce che quella storia di extraterrestri che arrivano sulla Terra e vogliono sostituirsi agli umani prendendo le sembianze di ciascuno di loro è un ottimo spunto per un film a basso costo.
Gli alieni nel baccellone
Non servono astronavi né effetti speciali: le uniche invenzioni sono i «baccelloni» che racchiudono gli alieni mentre assumono le sembianze del terrestre prescelto. Siegel voleva che il film finisse senza speranza, ma la produzione più prudentemente gli impose di mostrare che gli alieni sarebbero stati sconfitti. In quegli anni si discuteva molto di invasione comunista possibile nel mondo occidentale, e questi alieni che si intrufolavano nell’American Way of Life furono dai più visti come una metafora dell’infiltrazione comunista anche in terra d’America. A onor del vero, qualcuno ha sostenuto l’esatto opposto e Don Siegel si è sempre rifiutato di rispondere alle tante domande sull’argomento.
Ma il problema, ovviamente, non è questo. Sta di fatto che dopo quei due film tutto cambierà. Passeranno solo dieci anni e Kubrick progetterà 2001: Odissea nello spazio, grande budget per grandi temi, mentre George A. Romero si inventerà a bassissimo costo La notte dei morti viventi, che parla di Vietnam più di tutti i film americani del periodo. Tutto era nato dieci anni prima, con due film davvero seminali. Anche se di star non ne hanno create: le due carriere più famose sono quelle di Leslie Nielsen (il comandante del Pianeta proibito) e di Carolyn Jones (la procace ragazza dell’Invasione degli ultracorpi): ma lui sarà il re della serie Una pallottola spuntata, mente lei resterà per sempre l’ineffabile Morticia di La famiglia Addams.

Il pianeta proibito fu girato nel 1956 da Fred McLeod Wilcox, ispirandosi di Shakespeare; tra gli attori Walter Pidgeon e Leslie Nielsen. L’invasione