domenica 6 novembre 2016

Corriere La Lettura 6.11.16
L’incertezza per compagna di viaggio
Maestri. Il pensiero di un matematico e filosofo italiano, nato nel 1906 e morto nel 1985, sta orientando il dibattito internazionale
La lezione (sottovalutata nel nostro Paese) di Bruno de Finetti
Ecco ciò che alimenta la sete di conoscenza. E dunque la vita
di Carlo Rovelli

Cosa sappiamo con certezza? Una parte importante della filosofia della scienza si sta orientando verso una risposta che ha radici nel pensiero di un intellettuale italiano che nel nostro Paese è largamente sottovalutato: Bruno de Finetti.
De Finetti nasce ad Innsbruck da genitori italiani nel 1906. Inizia gli studi universitari al Politecnico di Milano. Nel 1936 vince il concorso per una cattedra di matematica, ma non è nominato per una legge del governo fascista che — preoccupato per la fertilità patria — vietava di assumere professori non sposati. Diventa professore ordinario solo nel dopoguerra, e insegna a Trieste e poi Roma. Il centro dei suoi interessi è la teoria matematica della probabilità, a cui contribuisce con teoremi che oggi portano il suo nome. Ma il suo pensiero spazia dalla politica alla didattica, e il suo contributo più originale è alla teoria della conoscenza. Le sue idee in questo campo, allora rivoluzionarie, stanno oggi diventando un riferimento per la scienza.
Alla domanda «Che cosa sappiamo con assoluta certezza riguardo al mondo?», la risposta suggerita da de Finetti è: nulla. Fin qui, niente di originale: è la tesi difesa nell’antichità da Pirrone di Elide, e in tempi moderni in varie forme da alcuni dei filosofi più grandi, come David Hume. Ma de Finetti individua con acume la natura del nostro sapere e comprende come, nonostante la mancanza di certezze assolute, questo possa comunque crescere in forma rigorosa e credibile, e convergere su convinzioni giustificate e sopratutto condivise.
Alla fine dell’Ottocento, era di trionfi per il pensiero scientifico e le sue applicazioni, la scienza sembrava offrire un sapere definitivo: Newton e Maxwell avevano capito le leggi ultime del mondo. Il positivismo logico ha cercato di analizzare il modo in cui la scienza raggiunge la verità, a partire da osservazioni dirette sul mondo. Ma si è scontrato con difficoltà serie: per esempio la realizzazione che qualunque osservazione è già colorata di pregiudizi teorici, e quindi non esistono «osservazioni pure». Le rivoluzioni della fisica del XX secolo hanno mostrato che anche teorie di immenso successo come quelle di Newton e Maxwell, ampiamente «confermate», si possono poi rivelare solo approssimazioni. Il carattere storico ed evolutivo, mai definitivo, della conoscenza scientifica, viene messo in evidenza da storici della scienza come Thomas Kuhn. Ribaltando le speranze del positivismo, il filosofo austriaco Karl Popper ha immensa influenza sugli scienziati sostenendo che la scienza non è caratterizzata dal fatto che le sue tesi sono provate vere, ma solo dal fatto che possono essere provate false: le teorie sono buone solo nella misura in cui non sono ancora state «falsificate». Questo implica che non c’è nulla che sappiamo con certezza.
Qual è allora il valore della conoscenza, se mancano certezze assolute? La grandezza di de Finetti sta nell’avere compreso come possiamo avere conoscenza condivisa e affidabile anche senza certezze assolute. L’intuizione di de Finetti è il carattere soggettivo della probabilità e il carattere probabilistico, ma convergente, della conoscenza. La chiave che rende questo possibile è un sottile teorema dovuto a un matematico inglese del Settecento, Thomas Bayes, che mostra due cose. Primo, come ogni nuova evidenza empirica modifichi la probabilità delle credenze. Secondo — punto cruciale — come queste modifiche portino le nostre credenze a convergere, anche se inizialmente sono diverse. La probabilità di una tesi è una valutazione di quanto noi ci aspettiamo che la tesi sia vera: è soggettiva. Ma questa probabilità cambia ad ogni esperienza. Il teorema di Bayes ci dice come: se la mia credenza implica che un evento sia probabile e questo si realizza, allora la mia credenza si rafforza. Altrimenti, si indebolisce. Se ritengo che la maggioranza delle stelle abbia pianeti, la mia convinzione si rafforza a ogni nuova stella che vedo avere un pianeta. Il teorema esprime questo in termini quantitativi. Se accettiamo di lasciare che gli eventi reali influiscano in questo modo sulle nostre credenze, il teorema indica che genericamente le nostre credenze arrivano a convergere: diventano credenze largamente giustificate dall’esperienza. In questo modo il nostro sapere, tanto quello scientifico quanto quello personale, storico, geografico, eccetera, può essere profondamente affidabile, e razionalmente ben fondato, senza bisogno di certezze assolute.
Questa è la chiave che fa funzionare la conoscenza scientifica. Posso ritenere probabile che la Terra sia piatta e poco probabile che sia rotonda, e tu puoi pensare il contrario. A mano a mano che notiamo insieme che l’ombra della Terra sulla luna durante un’eclisse è tonda, che più a Nord la stella polare è più alta sull’orizzonte, che Magellano ha fatto un giro seguendo il sole ed è tornato in Europa, eccetera... la probabilità che assegno alla piattezza della Terra diminuisce, fino a diventare irrisoria. Questo modo di pensare non ci obbliga mai a parlare di assoluta certezza, di conclusioni definitive, che ci impedirebbero di apprendere ulteriormente, ma ci permette di convergere su convinzioni di credibilità arbitrariamente alta. È di questo che è fatto il nostro sapere. Lasciamolo dire a de Finetti stesso, al suo bello stile colorato e un po’ d’anteguerra: «La scienza, intesa come scopritrice di verità assolute, rimane dunque, e naturalmente, disoccupata per mancanza di verità assolute. Se cade infranto il freddo idolo marmoreo di una scienza perfetta, eterna e universale, che noi potremmo cercare soltanto di sempre meglio conoscere, ecco in sua vece al nostro fianco una creatura viva, la scienza che il nostro pensiero liberamente crea. Creatura viva: carne della nostra carne, frutto del nostro tormento, compagna nella lotta...».
Nel mondo anglosassone, è stato sopratutto grazie al filosofo inglese Frank Ramsey che è stata presa in considerazione l’interpretazione soggettivista della probabilità, all’inizio del XX secolo. Solo più tardi, negli anni Cinquanta, è stata riconosciuta la rilevanza degli scritti di de Finetti. Il filosofo americano Leonard Savage, che ha fatto conoscere de Finetti al mondo anglosassone, racconta che ha voluto imparare l’italiano per poter parlare direttamente con lui e imparare da lui. Oggi de Finetti è molto noto nel mondo, meno in Italia. I suoi manoscritti non sono in Italia: sono raccolti e catalogati a Pittsburgh, presso uno dei maggiori centri di filosofia della scienza del mondo.
Bruno de Finetti incarna l’intellettuale italiano sprovincializzato e aperto al mondo, libero dalle pastoie dell’idealismo crociano (le chiamava «filosofesserie») e da tutti i postumi dell’hegelismo, e capace, nel solco della grande tradizione italiana di Galileo, di fare convergere sapere tecnico-matematico e umanistico-filosofico. La sua sintesi originale di empirismo classico (Hume) e pragmatismo (Peirce, James) centrata sulla nozione di probabilità soggettiva sta avendo un’influenza crescente sul pensiero mondiale, in particolare in filosofia della scienza, dove offre una soluzione elegante e convincente ai limiti del pensiero di Popper. De Finetti è stato in anticipo sui tempi. Il suo testo fondamentale del 1931 Probabilismo: saggio critico sulla teoria della probabilità e il valore della scienza , è stato tradotto in inglese solo nel 1989. E il suo libro L’invenzione della verità , scritto nel 1934, ha potuto essere pubblicato in italiano solo nel 2006, grazie a Giulio Giorello, e all’impegno prezioso e devoto della figlia Fulvia. Il fascismo al potere non accettava dubbi sulla Verità.
Nel 1968 de Finetti rimproverava i colleghi che snobbavano gli studenti: «Gli studenti vanno sempre ascoltati». Nel 1977 ho condiviso con lui una simpatica esperienza: siamo stati entrambi incriminati per associazione sovversiva e per istigazione a delinquere. Entrambi ci siamo dati alla macchia, e poi consegnati alla polizia. Lui ha avuto un’idea splendida: ha fatto sapere alla polizia che si sarebbe consegnato agli arresti davanti al portone dell’Accademia dei Lincei, di cui era membro. Il suo delitto era stato scrivere un articolo in favore dell’obiezione di coscienza al servizio militare.
Da poco il mondo intellettuale italiano comincia a riconoscere il suo valore. Un volume dal titolo Bruno de Finetti. Un matematico tra Utopia e Riformismo , curato e introdotto da Giuseppe Amari e da Fulvia de Finetti, è stato pubblicato nel 2015 dalle edizioni Ediesse e alla sua presentazione a Roma il 6 aprile scorso si è tenuto un ricco dibattito che si può riascoltare online (https://www.radioradicale.it/scheda/471494/bruno-de-finetti-un-matematico-tra-utopia-e-riformismo-presentazione-del-libro-curato).
C’è un insegnamento profondo che segue dalle idee di de Finetti, che riguarda, io credo, tutti noi, la nostra vita quotidiana, la nostra vita spirituale e la nostra vita civile: l’incertezza non è eliminabile. Possiamo diminuirla, ma non farla sparire. Per questo non dobbiamo farne un incubo. Al contrario, dobbiamo accettarla come compagna della nostra vita. In fondo, è una compagna gentile e cara. È lei che rende la vita interessante, è lei che ci porta l’inaspettato. È lei che ci permette di restare aperti a conoscere di più. Siamo limitati e mortali, e accettando la limitatezza della nostra conoscenza, possiamo imparare, e trovare il fondamento per questa conoscenza. Che non è la certezza: è l’affidabilità.

La vita
Il matematico Bruno de Finetti era nato a Innsbruck (Austria) il 13 giugno 1906, figlio di due italiani cittadini dell’Impero asburgico. Dopo la Prima guerra mondiale, divenne cittadino italiano e frequentò i corsi universitari a Milano, dove si laureò in Matematica nel 1927 (qui sopra è ritratto l’anno successivo). Lavorò per l’Istituto centrale di statistica e poi per le Assicurazioni Generali di Trieste. Nel 1939 vinse una cattedra universitaria nella città giuliana, ma soltanto nel 1950 fu nominato professore dell’ateneo. Nel 1961 venne chiamato a ricoprire la cattedra di Calcolo delle probabilità presso l’Università La Sapienza di Roma, dove rimase fino alla pensione nel 1976. Militò nel Partito radicale e fu arrestato, ma subito rilasciato, in quanto responsabile della testata giornalistica «Notizie radicali», che si era schierata a favore dell’obiezione di coscienza al servizio militare. Autore di quasi trecento pubblicazioni scientifiche, de Finetti morì a Roma il 20 luglio 1985

Bibliografia
Una Raccolta degli scritti di Bruno de Finetti in undici volumi (compreso l’indice) venne pubblicata dall’Ina tra il 1979 e il 1989. Sono usciti inoltre i due volumi Scritti. 1926-1930 (Cedam, 1981) e Scritti. 1931-1936 (Pitagora, 1991). Due volumi con le Opere scelte di de Finetti sono stati pubblicati nel 2006 dall’editore Cremonese. Altre antologie di suoi scritti: La logica dell’incerto (il Saggiatore, 1989); Filosofia della probabilità (il Saggiatore, 1995); Un matematico e l’economia (Giuffrè, 2005); L’invenzione della verità (Raffaello Cortina, 2006). Da segnalare anche la biografia Bruno de Finetti, un matematico scomodo, scritta dalla figlia Fulvia e da Luca Nicotra (Belforte, 2008), e la raccolta di saggi Bruno de Finetti. Un matematico tra utopia e riformismo, a cura di Giuseppe Amari e Fulvia de Finetti (Ediesse, 2015)