domenica 6 novembre 2016

Corriere La Lettura 6.11.16
Per non rinviare più
È meglio tirare a sorte che restare dubbiosi all’infinito
di Chiara Lalli

Dovrei licenziarmi? Dovrei divorziare? Oppure dovrei accettare quell’offerta e dividere le spese dell’affitto e del wi-fi? Sono tra le domande umane più ricorrenti e considerate tra le più importanti. Alcune persone rimangono in un limbo, immobilizzate dalla procrastinazione. Come Marie, l’amica di Sally in Harry ti presento Sally , al cospetto della verità che, in fondo, ha sempre saputo: il suo amante non lascerà mai la moglie. Saperlo non basta. E poi magari chissà… Altre persone decidono e sembrano essere più felici degli eterni irresoluti. Ma come prendiamo decisioni tanto rilevanti? Siamo capaci di valutare razionalmente i rischi e gli scenari futuri? Pare di no. E allora?
Steven D. Levitt ha condotto un esperimento per circa un anno e poi l’ha descritto per il National Bureau of Economic Research: se tirassimo a sorte? Ecco come sono andate le cose. Levitt ha invitato gli indecisi a partecipare a un esperimento: scegliere una domanda tra le trenta disponibili e poi lanciare (virtualmente) una monetina. Testa, cambio; croce, sto fermo dove sono. Levitt ha poi chiesto ai partecipanti se avevano seguito la sorte e come se la cavavano a due e a sei mesi di distanza dalla lotteria esistenziale. Dopo circa 22 mila lanci, 13 mila persone hanno risposto dopo due mesi e 8 mila dopo sei (non tutti hanno risposto). Una percentuale molto alta ha insomma deciso di lanciare la monetina e, più sorprendentemente, molti hanno poi seguito l’indicazione del caso (circa il 67 per cento per le decisioni valutate meno importanti, circa il 55 per quelle più importanti). In entrambi i casi, non solo non si sono pentiti, ma affermano di essere molto più felici e soddisfatti di prima.
Ora, le persone mentono e si ingannano. Credono a oggetti inesistenti e vedono disegni ove non c’è che un ammasso indistinto di materia. E la morale di questa storia non vuole certo essere «comportatevi a caso» (più di quanto non facciate già, magari pensando di essere individui razionali e calcolatori). Potrebbe però invece essere un rimedio per l’irresolutezza. Passare ore e giorni e perfino mesi in una palude decisionale è malefico, e spesso vi conduce a subire azioni e decisioni compiute da altri. Rischio per rischio, tanto vale tentare di essere agenti attivi. Certo, si perde la possibilità di rinfacciare la colpa a qualcun altro, ma anche questo rimedio è noto per essere solo apparente e per precipitarci in un gorgo di insoddisfazione. Fare nulla, poi, non è moralmente neutrale — questa è una convinzione radicata, ma fallace. Fare nulla non è la garanzia che nulla accada e, anche se lo fosse, non sarebbe necessariamente un bene. La pigrizia e il pregiudizio favorevole allo status quo , giudicato più sicuro solo perché lo conosciamo meglio, ci tengono legati a un passato che a volte finisce per essere solo un peso e una condanna.
D’altra parte, le nonne ci avevano messo in guardia: «meglio avere rimorsi che rimpianti!». La maggior parte di loro non ha mai seguito il consiglio, ma non è un buon motivo per fare lo stesso. L’eccesso di cautela e precauzione può condannarci all’infelicità. E se non sappiamo proprio cosa fare, si può provare con una monetina e vedere l’effetto che fa.