La Stampa 6.11.16
I sondaggi preoccupano e Renzi prepara la svolta per convincere gli indecisi
Tensione
a Firenze tra contestatori della Leopolda e forze dell’ordine I
contestatori di Renzi, dai centri sociali ai gruppi di destra, si sono
scontrati in centro. Bilancio: tre feriti tra gli agenti e alcuni
fermati oltre agli attacchi di Sel al questore
di Fabio Martini
Per
un’ora Matteo Renzi se ne resta silenzioso in platea ad ascoltare
l’altro Matteo (Richetti) che sta facendo il mattatore sul palcoscenico
della Leopolda. Poi non si «tiene» più e, senza preavviso, sale sulla
pedana dei protagonisti e appare per la prima volta alla vista del suo
«popolo», augurando «buonasera a tutti». Dalla platea si alza un
applauso affettuoso e breve. E’ venerdì notte, siamo alle prime battute
della ormai classica kermesse renziana e nell’accoglienza riservata al
leader c’è l’essenza della settima edizione della Leopolda alla vigilia
del referendum costituzionale: sono tutti convintamente con Renzi ma
senza pathos. Anche nel pomeriggio di ieri, nel corso dell’analisi
puntuale ed efficace di tutte le «bufale» sulla riforma pronunciate in
queste settimane dai leader del No, i cinquemila in platea hanno
applaudito le messe a punto di quattro costituzionalisti del Sì, ma lo
hanno fatto sempre con misura. Senza scrosci di entusiasmo.
Dentro
la Leopolda, tra i muri scrostati della ex stazione, c’è molta gente
(tanti under 30 e tanti over 65), i «registrati» sono più di quelli
dell’anno scorso, ma le uniche fiammate del popolo renziano si accendono
non per il referendum, ma quando Maria Elena Boschi, Matteo Richetti e i
costituzionalisti Ceccanti, Clementi, Pinelli e il politologo Vassallo
hanno citato polemicamente D’Alema e Bersani. E ancor di più quando il
sindaco di Firenze Dario Nardella ha attaccato i manifestanti che
volevano approdare «con la violenza» alla Leopolda. Un intervento
salutato da un’ovazione. E’ come se il battimani per Nardella e i fischi
contro i notabili «comunisti» fossero uniti dallo stesso sentimento
liberatorio: nei confronti dei tanti «assedianti» che contestano il
presidente del Consiglio.
Ma l’entusiasmo selettivo della platea
renziana è l’ultima conferma di un dato arcinoto al premier: così come
continuano a dimostrare i sondaggi riservati, il No è in testa e
nell’approssimarsi verso il voto, il trend degli incerti, per settimane
distribuito in quote più o meno equivalenti, ora indica il Sì in leggera
discesa. Il rischio di un piano inclinato. Ecco perché, secondo Renzi,
urge un «reset». Una svolta decisa nell’umore collettivo. Mancano 28
giorni alla conclusione della campagna elettorale e Renzi lo sa: o la
tendenza si inverte subito, o dopo sarà troppo tardi. Questa mattina il
presidente del Consiglio chiuderà la settima edizione della Leopolda,
raccontando il contrasto tra «due Italie»: quella del passato e quella
che guarda al futuro. Renzi non affiancherà in un unico «fronte del No»
Bersani e i ragazzi col passamontagna, ma pigerà su un pedale che nei
comizi in giro per l’Italia funziona sempre: la «carica» contro i vecchi
«rottamati» che tornano per bloccare il Paese. Ha funzionato e Renzi
non ci rinuncerà. In un intervento finale che si preannuncia
fiammeggiante e che è destinato ad accendere la platea riflessiva della
Leopolda.
Anche perché oramai, come sanno a palazzo Chigi, si
tratta di aggredire i «grandi numeri». Se al referendum andrà a votare
il 60 per cento degli elettori, per vincere serviranno almeno 15 milioni
di «sì». Un tetto non facile da raggiungere: nelle Politiche del 2013,
quando votò il 75% degli elettori, il Pd (8 milioni e 600mila voti), più
l’area centrista (3 milioni e 700mila), raggiunsero un totale di 12
milioni e 300mila voti, lo stesso numero che le due aree politiche (con
un’affluenza molto più bassa, del 57%) ottennero alle Europee del 2014.
Numeri che a palazzo Chigi conoscono bene: Renzi può vincere il
referendum soltanto se convince a votare «sì» una parte significativa
dei moderati di centro-destra.