Il Sole 6.11.16
Le Tesi 500 anni dopo
Lutero, Francesco e la misericordia
di Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
È comunemente considerata il manifesto inaugurale della Riforma di Martin Lutero.
È
la disputa sull’efficacia delle indulgenze (Disputatio pro declaratione
virtutis indulgentiarum), che Martin Lutero scrisse pubblica
nell’ottobre 1517, cinquecento anni fa. Essa fu occasionata dagli abusi
della predicazione delle indulgenze da parte del domenicano Johannes
Tetzel, vice commissario nella provincia ecclesiastica di Magdeburgo per
l’indulgenza proclamata da papa Leone X, i cui proventi dovevano per
metà contribuire all’edificazione della nuova basilica di San Pietro e
per metà sanare i debiti dell’Arcivescovo Alberto di Brandeburgo. La
critica di Lutero era tesa a difendere la purezza della fede della
Chiesa, come dimostra il fatto che il 31 ottobre 1517 egli ne inviò il
testo in forma di 95 tesi allo stesso Arcivescovo Alberto per averne il
sostegno. L’interesse che le tesi riscossero fu di gran lunga superiore
alle attese, anche a ragione del clima politico, sociale e religioso di
insofferenza nei confronti del fiscalismo romano. Dal punto di vista
dottrinale le tesi non fanno che sviluppare punti già acquisiti dal
Lutero commentatore della Scrittura, con una carica però pastorale e
polemica nuova. È possibile individuare in esse due nuclei teologici, a
cui corrispondono due applicazioni pastorali.
Il primo nucleo
teologico è l’idea del primato assoluto di Dio nella salvezza: questa
non deriva dalle opere fatte dall’uomo, e quindi da nostri eventuali
meriti, ma da Dio soltanto, dalla gratuità del Suo amore infinito. Solo
la volontà divina, e dunque la grazia, può farci salvi, non il danaro
versato per ottenere l’indulgenza: «Predicano l’uomo coloro che dicono:
Appena il soldino tintinna nella cassa, l’anima balza fuori dal fuoco
dell’inferno. Quel che è certo, è che al tintinnio della moneta nella
cassa può accrescersi solo il guadagno e l’avarizia» (Tesi 27 e 28). La
partecipazione ai beni della salvezza è fondata unicamente sulla
gratuità del dono divino, sì che le indulgenze sono efficaci solo se non
si confida in esse, ma in Dio: il vero tesoro della chiesa non è un
patrimonio di indulgenze lucrabili, ma il Vangelo della grazia offerto a
tutti: «Vero tesoro della chiesa è il sacrosanto Vangelo della gloria e
della grazia di Dio» (Tesi 59 e 62). Perciò «i tesori evangelici sono
reti con le quali in passato si pescavano uomini ricchi. Ma i tesori
delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli
uomini» (Tesi 65 e 66). La conseguenza di questo assoluto primato di Dio
nell’opera della salvezza sta nel richiamo alla responsabilità che i
pastori devono avere nel custodire il genuino tesoro della Chiesa, non
permettendo che esso venga falsato in una mercificazione mondana: il
papa non può desiderare il denaro dei fedeli più della loro salvezza, e
«se conoscesse le esosità dei predicatori di indulgenze, preferirebbe
che la basilica di San Pietro andasse in cenere, piuttosto che essere
edificata con la pelle, la carne e le ossa delle sue pecore» (Tesi 50).
Di qui la convinzione del giovane Lutero che «se le indulgenze fossero
predicate secondo lo spirito e l’intenzione del papa, tutte quelle
difficoltà sarebbero facilmente risolte, anzi non esisterebbero più»
(Tesi 91).
L’altro nucleo teologico delle Tesi è l’idea
dell’azione umana richiesta nel processo per ottenere la giustificazione
e il perdono dei peccati: quest’azione consiste nella contrizione dei
peccati e nella carità. Solo la contrizione sincera apre il cuore ad
accogliere il dono liberante della grazia e si traduce nella carità
operosa, che piace a Dio molto più che non l’acquisto delle indulgenze:
«Con l’opera di carità cresce la carità e l’uomo diventa migliore,
mentre con le indulgenze non diventa migliore, ma soltanto più libero
dalla pena» (Tesi 44). Non un titolo di merito, dunque, ma un amore
umile e sincero verso Dio e verso il prossimo ha valore per la salvezza.
La conseguenza di questo secondo nucleo teologico delle Tesi sta nel
richiamo alla penitenza, che esclude ogni presunzione, e alla sequela
dolorosa, ma feconda, della croce: «La vera contrizione cerca e ama le
pene; la prodigalità delle indulgenze produce un rilassamento e fa
odiare le pene, o almeno ne offre l’occasione» (Tesi 40). Non è dunque
una vita comoda o sicura quella del cristiano, ma una vita segnata dalla
croce, spesa nella sequela del Signore crocefisso: «Si devono esortare i
cristiani a seguire con zelo il loro capo, Cristo, attraverso le pene,
le mortificazioni, e gli inferni» (Tesi 94). Non chi annuncia la falsa
pace è vero profeta, ma chi nella presunta tranquillità annuncia la
croce ed esorta i cristiani a seguire il loro Capo lungo la via
dolorosa, la sola che fa entrare nel regno dei cieli. Il rifiuto del
ricorso facile alle indulgenze, il richiamo al loro vero significato,
non è dunque che una conseguenza del primato di Dio e un aspetto di
quella «sequela crucis», con la quale ad esso si corrisponde con tutta
la vita. Non si tratta per Lutero di celebrare la gloria di Dio a prezzo
della morte dell’uomo, ma di indicare la via autentica attraverso la
quale l’impegno umano, svuotato di ogni presunzione e fiducioso
unicamente nella grazia misericordiosa del Salvatore, si apre alla
salvezza eterna. Si comprende allora come il messaggio centrale delle
Tesi sulle indulgenze di Martin Lutero corrisponda in profondità a
quello che Papa Francesco ha voluto proporre a tutti i cristiani col
giubileo della misericordia: un annuncio liberante e gioioso della
grazia del perdono, che è offerta con gratuità a chiunque con cuore
umile e pentito la invochi da Dio e intenda esprimerne l’efficacia in
opere di carità e di giustizia. Il cinquecentesimo anniversario della
Riforma e il Giubileo della misericordia annunciano, insomma, la stessa
buona novella: è anche questo che il Papa ha inteso sottolineare col suo
pellegrinaggio ecumenico a Lund in Svezia, per commemorare solennemente
l’inizio dell’opera riformatrice di Lutero, dalle conseguenze veramente
epocali, e per evidenziare il potenziale di riconciliazione fra i
cristiani che - intesa nel suo senso profondo - essa può produrre.