La Stampa 6.11.16
Referendum
Gli intellettuali alzino la voce
Nella
questione del referendum costituzionale non c’è proporzione tra gli
argomenti di merito che si possono portare, da una parte o dall’altra, e
il clima di esasperazione che si sta creando
di Gian Enrico Rusconi
Se si va avanti così, usciremo tutti stremati e incattiviti. Con una percentuale di astensioni inaccettabile.
I
costi politici e di convivenza civile saranno pesanti. Oltre tutto sta
riprendendo fiato la politica politicante della peggior specie,
approfittando della situazione.
A questo punto che fanno gli
«intellettuali»? Una parte è schierata più o meno convintamente in un
campo o nell’altro, con firme e manifesti di tipo tradizionale. Ma c’è
una parte consistente (la maggioranza?) che è riluttante ad esporsi
cercando di sfuggire alle intimidazioni incrociate.
Forse invece
vale esporsi per invitare alla ragionevolezza dei comportamenti. Certo
si rischiano gli sberleffi o l’accusa di codardia. Ma chi ha
l’autorevolezza o la credibilità di farsi oggi ascoltare dalle parti in
lotta per dire cose semplicemente ragionevoli?
Per cominciare
occorre dire sommessamente ma apertamente che il referendum non mette in
gioco «la democrazia» o «la Costituzione». Né nel senso che apre un
immediato futuro radioso per l’Italia se si vota «Sì», né nel senso
dell’urgenza di un «No» per scongiurare l’affermarsi di «una realtà
fittizia, artefatta costruita con discorsi propagandistici, blandizie,
regali e spettacoli» (per citare il più noto degli intellettuali leader
dei «No»).
Riportiamo il dibattito ai suoi termini reali. Da una
parte ci sono modeste ma opportune innovazioni, anche se pasticciate,
che possono anzi devono essere migliorate proprio grazie al dibattito
che hanno innescato. Dall’altra parte il «No» alla proposta governativa
deve anticipare proposte alternative concrete e concordate. A parole lo
dicono tutti gli oppositori, ma in realtà sono profondamente divisi
perché il loro collante è esclusivamente il «contro Renzi» che raccoglie
tutti gli umori antiestablishment, dai segni più diversi e
contraddittori.
Il paradosso è che molti (certamente molti
intellettuali) reagiscono con un «No ai No» che può facilmente diventare
un «Sì». E’ un’ipotesi tutt’altro che irrealistica.
Insomma la
confusione e l’ambiguità sono grandi. Anziché lasciarsi andare a
imputare e distribuire più o meno equamente le colpe al renzismo
all’antirenzismo, ci si potrebbe impegnare sin da ora ad esigere un
dibattito ragionato che al limite anticipi disponibilità a convergenze,
in previsione di un risultato della consultazione che prevedibilmente
spaccherà in due il Paese. E’ necessario evitare una caduta verticale di
sfiducia generalizzata verso un’intera classe politica. Anche verso
quella rampante. E’ una proposta ingenua, irrealistica? Può darsi. Ma è
preferibile ad una chiamata alle armi che lascerà tutti incattiviti.