La Stampa 5.11.16
Lo spreco dei treni per la Sardegna costati 125 miliardi, fermi 30 anni
I treni erano stati disegnati dall’«Italdesign» di Giorgetto Giugiaro
Il progetto risale al governo Craxi. Adesso i convogli saranno demoliti
di Luisa Barberis Giovanni Vaccaro
Saranno
definitivamente seppelliti nel cimitero savonese dei treni i 125
miliardi di lire che le Ferrovie dello Stato spesero negli Anni Ottanta
per un intero gruppo di locomotive che non hanno mai viaggiato.
Ordinate, progettate, costruite e acquistate, non sono mai entrate in
servizio. I venticinque esemplari, diciannove E491 per treni passeggeri e
sei E492 per trasporto merci, sono rimasti parcheggiati a Foligno e
Livorno per quasi trent’anni. Ed ora, tramontata anche l’ultima speranza
di rivenderle come macchine di seconda mano, pur essendo “a km zero”,
le locomotive intraprendono in questi giorni il loro unico ed ultimo
viaggio. Verso la demolizione nei capannoni della ditta “Vico” di Cairo,
entroterra savonese.
Sembra una caccia al tesoro al contrario, in
cui i dobloni si nascondono seppellendoli, invece di riportarli alla
luce. La storia di un incredibile spreco di denaro pubblico sui binari
ebbe origine nel 1983 ed oggi arriva al capitolo conclusivo. Quando
furono costruite dalla Fiat Ferroviaria di Savigliano e dall’Ansaldo,
fra il 1986 ed il 1990, erano modelli all’avanguardia e dotati di
sofisticati apparati elettronici, un lusso all’epoca in Italia che
giustificava il costo di cinque miliardi di lire per ciascuna locomotiva
(oggi una macchina analoga costerebbe fra tre e quattro milioni di
euro). In più il design era stato affidato nientemeno che alla firma di
Giorgetto Giugiaro, “re” dell’Italdesign.
L’idea delle Ferrovie
consisteva nel creare una flotta di locomotive, imparentate con le E633
ed E632 “Tigre”, da utilizzare nell’ambizioso progetto del Governo di
Bettino Craxi di elettrificazione della rete ferroviaria della Sardegna.
Ma, dopo che i locomotori furono costruiti e portati in Sardegna, i
tagli ai finanziamenti e l’alternarsi dei governi tra Ciriaco De Mita e
Giulio Andreotti provocò nel 1989 l’abbandono del piano di
ammodernamento delle linee dell’isola. Niente più elettrificazione,
progetto cancellato per decreto e 125 miliardi di lire, già pagati,
bruciati in un istante. Perché le locomotive, progettate per funzionare
in corrente alternata a 25mila volts, non potevano essere riutilizzate
dalle Fs, la cui rete sul continente era a corrente continua a tremila
volt. Così, nuove di zecca, vennero riportate sul retro del deposito di
Foligno, dove vennero parcheggiate e dimenticate. Senza aver mai
trainato un vero treno, senza aver mai prestato servizio, salvo qualche
corsa di prova e qualche uscita dimostrativa per tentare di venderle a
compagnie ferroviarie straniere.
In effetti le Fs hanno tentato
più volte di rivenderle in Francia, Turchia, Bulgaria, Ungheria e
Serbia. Invano. E quest’anno anche l’ultimo bando, scaduto il 30 maggio,
è andato deserto. Neppure il prezzo stracciato di centomila euro l’una,
ossia di 1,6 milioni per tre lotti di 16 macchine (le nove che erano a
Livorno sono già state demolite) ha catturato l’interesse di altri
gestori ferroviari. Tra l’altro l’ultimo bando delle Fs per la vendita
prevedeva clausole strettissime: impiego solo su reti estere, con
esplicito divieto di viaggiare sui binari di Rfi, quindi per raggiungere
la destinazione avrebbero dovuto essere caricate su camion per
trasporti eccezionali viaggiando su strada.
Loro, le locomotive
colorate di giallo vivo con strisce rosse, hanno cercato di resistere
alla ruggine. Anche ora che sono arrivate al capolinea sfoggiano
carrelli e ruote nero lucido che le fanno sembrare nuove di zecca.
Persino i vandali, in tutti questi anni, le hanno in qualche modo
risparmiate, forse proprio perché sembravano appena uscite di fabbrica.
Delle
E491 ed E492 non verrà preservato neppure un esemplare per la
Fondazione Fs o per qualche museo, segno che l’obiettivo è cancellare
con la fiamma ossidrica ogni ricordo di un progetto ambizioso
trasformato però nell’ennesima voragine di soldi pubblici sperperati
dalla vanità e dall’inconcludenza della classe politica degli anni
Ottanta.