La Stampa 5.11.16
Un medico su due non si aggiorna
Anche i giovani disertano i corsi
La relazione dell’Osservatorio internazionale della salute
Gli ortopedici stentano a ottenere i crediti richiesti in 3 anni
di Paolo Russo
I
nostri dottori non si aggiornano. Meno della metà, esattamente il 47%
dei camici bianchi, ha in tasca i 150 crediti “Ecm”, che in tre anni
bisognerebbe aver accumulato come prova dell’aggiornamento continuo.
L’altra
faccia della malasanità è nei numeri shock dell’indagine sulla
formazione in sanità nel triennio 2014-2016 condotta dall’Osservatorio
internazionale della salute (Ois).
I medici più svogliati e meno
al passo con l’innovazione sono a sorpresa i più giovani, oltre che i
più vecchi. Se quelli di mezza età sono in regola con gli obblighi
formativi, la media scende al 37,9% tra gli under 45 e al 36,9% tra gli
over 65. Come se per i più giovani bastassero gli studi universitari e
per i più anziani l’esperienza.
«Il problema - spiega Alessandro
Solipaca, direttore scientifico dell’Ois- è che i dati sui punteggi
formativi dei medici sono custoditi dall’Agenas, l’agenzia per i servizi
sanitari regionali, ma poi nessuno va a verificare se il singolo medico
abbia ottemperato o meno agli obblighi».
Quelli un po’ più ligi
al dovere e al passo con i tempi sono medici di famiglia, pediatri e
infettivologi, che in quasi sei casi su dieci i fatidici 150 punti “Ecm”
in tre anni li hanno messi in tasca, accumulando un po’ di conoscenze
in più, utili magari quando si visita un paziente. Quelli più refrattari
ad aggiornarsi con meno di 30 crediti formativi accumulati nell’ultimo
anno sono invece gli ortopedici (il 47% si è spremuto così poco) i
chirurghi (34%), gli psichiatri (25%) e i neurologi in compagnia dei
neuropsichiatri (con entrambi il 34% a così basso indice di
aggiornamento professionale).
Più volenterosi i medici meridionali, dove oltre il 49% è in regola, contro il 43,7% del centro e il 47,3% del nord.
Sarà
anche per risparmiare tempo ma il modo preferito dai nostri dottori per
aggiornarsi è la formazione che viaggia sul web, mentre quella sul
campo, che si fa esaminando i pazienti in carne ed ossa, interessa meno
di un medico su dieci.
A farla da padrona è poi la formazione
offerta dai privati, quasi sempre sponsorizzati da industria
farmaceutica o del bio-medicale. «In barba alla legge sul conflitto
d’interesse le industrie sponsorizzano i congressi che fanno punti ecm,
come mostrano con chiarezza tanti depliant, anche se poi le società
scientifiche che li organizzano dichiarano il falso all’Agenas,
smentendo qualsisasi legame con gli sponsor», denuncia Sergio Conti
Nibali, pediatra del gruppo di operatori sanitari “No grazie”.
Affermazioni che trovano conferma nello studio di un gruppo di
ricercatori italiani pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica
British medical journal. Il 67,7% delle società scientifiche ha
accettato sponsorizzazioni industriali in occasione dell’ultimo
congresso. Come dire pochi si aggiornano e chi lo fa rischia anche di
entrare in conflitto d’interesse facendosi spesare dai signori della
pillola.