La Stampa 5.11.16
“Facebook doveva rimuovere i video hard della donna suicida”
Il tribunale ha parzialmente rigettato il reclamo della multinazionale
di Antonio E. Piedimonte
Facebook
ha sbagliato. Lo dice il Tribunale civile di Napoli Nord che ieri ha
dato torto al colosso statunitense nella tragica vicenda di Tiziana
Cantone, la 31enne di Mugnano (Napoli) suicidatasi il 13 settembre dopo
la diffusione sul web, a sua insaputa, di un video che la ritraeva
mentre aveva rapporti intimi con il fidanzato. Per i giudici, infatti, i
responsabili del social network avrebbero dovuto rimuovere i contenuti e
le informazioni dopo che ne era emersa l’illiceità, a prescindere da
eventuali disposizioni dell’autorità amministrativa o giudiziaria.
Destinata
a far rumore e avere grosse conseguenze, l’ordinanza ha rigettato il
reclamo che era stato presentato da Facebook Ireland, dando invece
ragione a Maria Teresa Giglio, la madre della giovane. Nel bocciare
l’operato del gigante di Mark Zuckerberg, il collegio giudicante
(presieduto da Marcello Sinisi) ha accolto parte del reclamo disponendo
che non sussiste alcun obbligo per l’hosting provider di controllare
preventivamente tutte le informazioni caricate sulle pagine. Per gli
esperti è comunque di un provvedimento eccezionale perché con la
decisione del tribunale - peraltro non impugnabile perché emessa in sede
di reclamo - può aprirsi uno scenario rivoluzionario: si potrà chiedere
direttamente la rimozione di materiale on line sui social network.
Soddisfatto anche Andrea Orefice, avvocato civilista della famiglia: «Si
introduce il principio secondo cui un hosting provider deve rimuovere
le informazioni illecite quando arriva la segnalazione di un utente. E
senza attendere che sia il Garante della Privacy o il giudice a
ordinargliene la rimozione. Ora ci aspettiamo che Fb collabori per
trovare chi ha creato quei profili». Il tribunale ha poi deciso la
compensazione di parte delle spese legali, mentre la parte restante
(oltre 8 mila euro) dovrà essere corrisposta da Facebook alla famiglia e
ai suoi legali. La notizia ha dato un po’ di sollievo alla madre di
Tiziana che solo il giorno prima aveva saputo di una sentenza di
tutt’altro segno: la richiesta di archiviazione per le persone querelate
da Tiziana per diffamazione, ovvero i 4 amici ai quali aveva inviato
per gioco i video hard.
La decisione della Procura ha gettato
nello sconforto la donna: «Mia figlia è stata uccisa per l’ennesima
volta», ha detto ieri ai microfoni di “Mattino Cinque”, aggiungendo:
«Tiziana aveva compreso di essere già morta, di essere stata condannata
all’agonia infinitamente replicabile di quei video le avevano rubato la
dignità e il rispetto». La querelle giudiziaria è tuttavia solo
all’inizio anche perché un altro fronte è stato aperto dalla Procura
partenopea: l’ipotesi d’istigazione al suicidio. Indagine destinata ad
accendere i riflettori sulla piaga del cyberbullismo e della gogna del
web, emergenze rese ancor più gravi dal fatto che le vittime sono
perlopiù donne. Aspetto sottolineato ieri dal ministro Maria Elena
Boschi: «Dietro ogni violenza, dietro ogni dileggio, dietro la storia di
ciascuna delle vittime ci sono soprusi subiti e spesso taciuti contro
le donne».