Repubblica 5.11.16
Indagato A Monaco
Il dilemma di Zuckerberg
di Guido Scorza
IN
ITALIA, il Tribunale di Napoli ha stabilito che Facebook avrebbe dovuto
rimuovere i link ai video hard ritraenti Tiziana, la ragazza di Mugnano
suicidatasi il 13 settembre proprio per effetto della pubblicazione, a
sua insaputa, di tali contenuti.
NELLE stesse ore, in Germania, la
Procura di Monaco ha indagato Mark Zuckerberg ed alcuni suoi manager
per non aver rimosso alcuni contenuti inneggianti all’odio e con minacce
di morte nonostante ripetute segnalazioni.
C’è un fil rouge, a
forma di punto interrogativo, che unisce le due vicende giudiziarie e le
collega a decine di altre storie analoghe del passato, del presente e
del futuro: fino a che punto è giusto ed auspicabile pretendere che i
gestori dei social network e delle grandi piattaforme di intermediazione
dei contenuti pubblicati da terzi rimuovano ciò che viene loro
segnalato come illecito dagli utenti anche a prescindere da qualsivoglia
ordine o provvedimento di Giudici o Autorità competenti?
Si può
scegliere di rispondere alla prima domanda in senso affermativo come ha
fatto — e non è la prima volta che accade in Italia — il Tribunale di
Napoli e come sembra ritenere la Procura di Monaco, nella convinzione
che, in questo modo, si scongiura il rischio che si verifichino fatti
drammatici come quelli dei quali è stata vittima la giovane Tiziana e
che si propaghino online parole d’odio.
O, al contrario, si può
rispondere che chi consente la pubblicazione online di contenuti di
terzi non dovrebbe rimuovere quei contenuti salvo che non sia un Giudice
o un’ Autorità pubblica ad ordinarglielo perché in caso contrario si
finisce, nei fatti, con l’affidare ad un soggetto privato il compito di
sostituirsi alla legge ed ai Giudici nello stabilire dove finisce la
libertà di parola ed iniziano, a seconda dei casi, gli altrui diritti
alla privacy o alla reputazione. O comunque dove la libera
manifestazione del pensiero cambia volto e trascende in reato di
opinione.
Difficile dire quale sia la risposta giusta e da quale parte debba pendere la bilancia della giustizia.
Dietro
a ciascuna delle due possibili scelte, infatti, si cela una visione
delle cose radicalmente diversa: meglio vivere in un contesto nel quale
pur di riconoscere a chiunque la libertà di parola attraverso il web si
corre il rischio di alcuni abusi e delle loro conseguenze o, al
contrario, meglio vivere in un contesto nel quale per sottrarsi a tale
rischio, si accetta che talvolta la libertà di parola possa essere
limitata più di quanto sarebbe giusto ed auspicabile?
Delle due
l’una, con poche chance di sostenere che sia possibile trovare, per
davvero, un equilibrio che consenta a ciascuno di dire sempre ciò che
pensa online, senza correre mai il rischio di vedersi togliere la parola
senza meritarlo.
Si sbaglierebbe, infatti, a pensare che decidere
se la pubblicazione di un contenuto è lecita o illecita è valutazione
semplice e dall’esito binario.
Le sensibilità, le variabili e gli
elementi di cui tener conto sono talmente tanti da condurre, con
straordinaria frequenza, persino Giudici chiamati ad applicare le stesse
leggi a decidere in maniera diversa su fattispecie sostanzialmente
analoghe.
Che succede se la valutazione finale relativa
all’opportunità o inopportunità che un contenuto sia rimosso dallo
spazio pubblico telematico anziché rimanervi viene affidata ad un
dialogo — tutto privato — tra un utente che ne richiede la rimozione ed
una corporation ritenuta, dai Giudici, obbligata a concedergliela?
La
libertà di parola e di opinione può sopravvivere in un contesto nel
quale chiunque può ottenere la rimozione di qualsivoglia contenuto,
senza bisogno di passare né per un Giudice, né per un’ Autorità, ma
semplicemente scrivendo una mail al fornitore di un social network che
più che alle leggi risponde alle regole del mercato ed ai suoi azionisti
e per il quale, dunque, rimuovere un contenuto vuol dire abbattere un
rischio e massimizzare il profitto mentre non rimuoverlo significa
accettare il rischio di veder accertata la propria responsabilità e
ritrovarsi esposto a risarcire un danno o, addirittura, a rischiare la
galera? I fatti di Mugnano e quelli sulla cui base si è mossa la Procura
di Monaco sono, probabilmente, fatti estremi nei quali distinguere il
lecito dall’illecito non sarebbe stato troppo difficile ma non è sempre
così e le leggi devono essere generali ed astratte, capaci di governare
le situazioni più facili e quelle più difficili.
( L’autore è avvocato e docente di Diritto delle nuove tecnologie)