giovedì 3 novembre 2016

La Stampa 3.11.16
Dimissioni e reincarico a tempo
Il piano di Renzi se vince il No
Dopo l’ultimo sisma, l’ipotesi di posticipare Leopolda e consultazione
di Carlo Bertini

«Si va avanti». Matteo Renzi tira dritto, nessun rinvio. Non vuole passare per uno che ha paura di perdere. Anche perché, a sentire cosa dicevano i suoi sabato in piazza a Roma, con la dovuta premessa che «conoscendolo bene, dipende molto da cosa gli passa per la testa la sera del voto», ecco lo scenario in caso vincessero i No: lui si dimetterebbe, ma potrebbe accettare un’eventuale offerta di reincarico da Mattarella. «Ma se pure accettasse questo sbocco, vorrebbe andare a votare al più presto». Tradotto, non prima di giugno, forse a ottobre, per vari motivi: il premier gestirebbe in prima persona la sfida con l’Europa e l’anniversario dei trattati di Roma, che sarà ospitato a marzo nella capitale, ma anche il G7 di maggio a Taormina. E questo lasso di tempo servirebbe al Parlamento per l’arduo compito di trovare una maggioranza utile a varare una legge elettorale che stia bene a tutti, uniforme per Camera e Senato (a quel punto ancora in vita). Solo a quel punto si potrebbe al più presto convocare le urne, non oltre il 2017 dunque. Scenari appesi ad un esito che viene scacciato come un fantasma, oggetto però di conversari nel Pd: che fanno capire meglio uno stop così deciso ad un rinvio del referendum che farebbe stare tutti sulla graticola per mesi.
La tentazione del rinvio però c’è stata, subito dopo la botta tremenda di domenica mattina che ha messo in ginocchio il Centro Italia: nel giro stretto del premier se ne è discusso, ma poi già nel pomeriggio, Renzi - che inizialmente non l’aveva scartata - ha stoppato il tormentone con un «no, si va avanti», trasmesso giù per li rami. Chi ha vissuto quelle ore a stretto contatto con il centro di comando, narra che nelle prime ore di massima incertezza, quando ancora non si conosceva l’esito delle verifiche e l’esistenza di eventuali vittime sotto le macerie, si era pensato di rinviare tutto, sia la Leopolda, sia il referendum, «ma poi Matteo ha deciso di tirare dritto».
Il pressing dei dirigenti Pd
La sortita di Alfano dunque, va iscritta in questo solco, un’uscita non concordata col premier - che infatti a quanto pare non l’ha presa affatto bene - che però ha dato voce ai ragionamenti che si son fatti ai massimi livelli ma solo per poche ore nella giornata di domenica. In quei conversari infatti, Renzi aveva subito espresso la sua contrarietà a prendere in esame l’ipotesi rinvio «motu proprio» e infatti ieri il titolare dell’Interno ha provato a gettare la palla nel campo delle opposizioni. Ma dopo un giro di pareri nel governo e con i più stretti collaboratori, si è deciso di tirare dritto. Ma nelle ore successive, la voce era rimbalzata, anche perché il dramma coinvolge una parte d’Italia in cui è radicato il Pd e molti parlamentari di quelle zone sono preoccupati. Sono coinvolte centinaia di migliaia di persone in due regioni rosse, «è chiaro che un bacino di voti viene meno», spiegano nell’inner circle renziano: ora il timore è quello di possibili contraccolpi elettorali, vista l’impossibilità di fare campagna elettorale in quelle zone d’Italia, con la tragedia degli sfollati giustamente in cima ai pensieri di ogni amministratore.
Il test di Angelino
La convinzione dei renziani è che Alfano comunque si sia fatto interprete di una posizione diffusa, «ha pensato di fare un test», dicono. Ma la smentita a brutto muso di Renzi al suo ministro ha tolto di mezzo la sensazione di un gioco delle parti. Matteo Orfini, dopo averne parlato con il premier prima e dopo la sortita di Alfano, garantisce che «Matteo non ne sapeva nulla, si vota il 4 dicembre, punto». Facendo capire che non converrebbe neanche politicamente «stare appesi per mesi» ad un esito incerto del referendum. Dal canto suo, il titolare degli Interni, dopo aver fatto la parte del «punching ball» per tutto il giorno, ai suoi fa notare di non aver proposto il rinvio, «ho solo detto che se venisse richiesto dalle opposizioni andrebbe valutato. E mi aspetterei che chi ha gestito il terremoto de L’Aquila si rendesse conto che non è un bene schiacciarsi sulle posizioni di Salvini e Grillo». Alfano è certo che la sua sia «una proposta di buon senso» e che quelli che la pensano come lui «sono più del 4,3 per cento che ci attribuiscono gli ultimi sondaggi». Ovvero, il partito del rinvio sarebbe ben più ampio di quello che affiora in superficie. Secondo: i moderati di sicuro condividono questo messaggio e ciò dimostrerà loro che Forza Italia è guidata da estremisti. Per Angelino dunque tutto bene, anche perché dopo aver parlato con Renzi si è fatto l’idea che «tra me e lui nessun problema».