mercoledì 30 novembre 2016

La Stampa 30.11.16
La madre che educava il figlio alla strage:
“Le nostre menti omicide sono geniali”
Sognava di sterminare la famiglia parlandone con il ragazzino 11enne
di Fabio Poletti

Il marito perché era di troppo. La mamma forse, perché non vedeva di buon occhio la relazione con il suo amante. Lo zio finito nella vasca dei liquami dell’azienda agricola di famiglia invece potrebbe essere un caso. Poi ci sono i figli, il più grande ha 11 anni, per il quale Laura Taroni, 40 anni, infermiera al Pronto Soccorso di Saronno vicino a Varese chiede al suo amante: «E dei miei figli cosa vuoi che ne faccia?». Lui le risponde. «No i bambini no». È quasi un eufemismo dire che questa infermiera che sui social network si commuove per cagnolini abbandonati e per i bambini vittime di pedofili avesse una doppia vita. Una vita fatta, pare, di siringhe per le endovene piene fino all’orlo di clorpromazina, midazolam, propofol, promazina e morfina che elargiva in abbondanza a pazienti e familiari.
Suo marito Massimo Guerra aveva 46 anni quando l’avrebbe ucciso. Era sanissimo, lavorava all’azienda agricola di famiglia La Regina di Lomazzo, lei, gli ha fatto credere che fosse diabetico, per più di un anno lo avrebbe bombardato di cocktail di farmaci. Tanti da ammazzarlo il 30 giugno del 2013, ma non troppi tutti insieme per non destare sospetti. Stesso trattamento per la madre che non vedeva di buon occhio la relazione con Leonardo Cazzaniga, quel medico altezzoso di 15 anni più grande che oramai si aggirava per casa come uno già di famiglia quando lei era rimasta vedova.
Laura Taroni era così abituata a trattare morti e omicidi che non ne faceva mistero nemmeno col figlio undicenne. In quell’azienda agricola lei aveva una piccola cascina. Altri familiari occupavano piccole ville. I rapporti non erano mai stati buoni. Si litigava per nulla. Ultimamente per un’eredità. Gli altri parenti si erano coalizzati e volevano estrometterla dal patrimonio. Lei sognava vendette feroci. Ne parlava tranquillamente al figlio. E il figlio in un’intercettazione telefonica sembra un serial killer: «Non sai quanto le nostre menti omicide messe insieme siano così geniali».
Parole dette con leggerezza, si capisce. Perché nessuno, nemmeno il più cinico e smaliziato degli investigatori, può anche solo immaginare che un ragazzino di 11 anni possa commettere un omicidio in famiglia. Ne sono talmente sicuri che lui e il fratellino sono stati messi in una struttura protetta in attesa di essere affidati ad altri familiari. Ma il tono delle conversazioni in casa, finito nelle oltre mille pagine elaborate dai carabinieri in questa inchiesta andata avanti per oltre due anni, è agghiacciante.
Laura Taroni, la strage di famiglia, ce l’aveva in testa. Era più forte di lei. Non si preoccupava nemmeno troppo che in ospedale sapessero della sua relazione clandestina con quel medico così preparato ma altrettanto chiacchierato per la gestione come minimo spregiudicata dei codici rossi in Pronto Soccorso. Dalle indagini non risulta che anche lei abbia partecipato attivamente a far fuori i pazienti dell’ospedale. Lei sembrava più concentrata a sterminare la famiglia. Come diceva a suo figlio al telefono: «No, tua nonna non è possibile. A tua nonna e a tua zia non è semplice. A meno che non gli fai tagliare i fili dei freni a tua zia... Gli tiri l’olio dei freni... Poi c’è tua zia Gabriella... Non sei abbastanza grande per poter... Non sei abbastanza grande tu...».
Zia Gabriella è ancora viva. La madre di Laura Taroni, no. Per il pubblico ministero sarebbe stata l’infermiera a ucciderlo. Il giudice ha stabilito che non ci sono abbastanza prove. Ma le indagini sono ancora aperte. Anche se non c’è stata una strage di famiglia fanno impressione le parole di Laura Taroni sempre al telefono col figlio: «E poi cosa avresti fatto della nonna e della zia? Non è così semplice, sono grosse! L’umido da noi passa solo una volta a settimana. Non abbiamo più neanche i maiali».