La Stampa 30.11.16
Vittime dell’amianto
Il giudice: “Non c’è dolo l’omicidio è colposo”
Torino, derubricata l’accusa al magnate svizzero Schmidheiny È imputato per la morte di 258 persone. Processo diviso in 4 sedi
di Sil. Mos.
Non
ci sarà un nuovo, unico processo all’imprenditore svizzero Stephan
Schmidheiny imputato di 258 morti di amianto. Potrebbero essere 4. Il
giudice torinese Federica Bompieri ha mandato a giudizio l’ultimo patron
di Eternit Italia in vita per omicidio colposo e non doloso come
chiesto dal pm Gianfranco Colace. Ha fissato anche la data del processo a
Torino: il 14 giugno 2016, ma solo per la morte di due delle 258
vittime che il pm aveva elencato nel capo di imputazione. Sono due
persone di Cavagnolo, dove operò uno stabilimento dell’Eternit. Questa
porzione di causa rimane a Torino per “competenza territoriale”. Poi il
processo è stato smembrato in altre 3 parti: a Reggio Emilia per 2
vittime di Rubiera dell’Emilia, a Napoli per 8 morti di Bagnoli e tutti
gli altri alla procura di Vercelli che, dopo la revisione delle
circoscrizioni giudiziarie, ha accorpato il tribunale di Casale. Il
numero più corposo di vittime (forse oltre 240), è quello dei casalesi.
Il gup ha anche ordinato alcune prescrizioni: dovrebbero essere tre, e
sempre riferite alla competenza territoriale torinese, mentre saranno
gli altri giudici delle sedi in cui il caso Eternit Bis è stato
frazionato a valutare chi è prescritto e chi no. Dipenderà anche dal
tipo di reato che ciascuna procura riterrà di contestare. Insomma: si
ricomincia da capo.
Il primo compito tocca alla cancelleria; dovrà
fare tre copie della monumentale mole di faldoni e inviarle a Vercelli,
a Napoli e a Reggio Emilia. Poi sarà dato incarico a un pm di ogni sede
di studiare la complessa vicenda e, se riterrà che ci sono i
presupposti, chiederà il rinvio a giudizio partendo dall’udienza
preliminare. Altre tre. D’altronde, il gup Bompieri, superato l’impasse
del “ne bis in idem” (non si può processare la stessa persona due volte
per gli stessi fatti) dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale,
non ha però ritenuto fondate le argomentazioni a sostegno del reato di
omicidio volontario. Il pm Colace ci ha provato fino all’ultimo. Una
mezz’ora intensa ieri mattina, all’ultima seduta dell’udienza
preliminare. «Qui - ha detto - ci sono 258 vite spezzate. Sì vittime
dell’amianto, ma non per un fato avverso, bensì vittime delle scelte
dell’uomo, anzi, di un uomo preciso che è l’imputato di questo
procedimento, consapevole che sarebbero rimasti sul campo molti morti».
Di altro avviso i difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, che
commentano: «Crollata la mostruosità di un soggetto che avrebbe avuto la
volontà di provocare tante morti». Convinzione che invece il pm aveva
sostenuto ripercorrendo «dieci anni, dal 1976 al 1986, di scelte
ininterrotte e consapevoli da parte di Schmidheiny; decise di continuare
a utilizzare l’amianto anche quando c’erano già altre tecnologie e
materiali alternativi». Nel Palazzo di Giustizia di Torino, però, questa
tesi non è passata.