mercoledì 2 novembre 2016

La Stampa 2.11.16
Tra i cacciatori di migranti
lungo il muro con il Messico
In Arizona gruppi paramilitari armati pattugliano il confine Negli ultimi mesi arrivati i primi somali e siriani: “Sono terroristi”
di Paolo Mastrolilli

Visti da qui, i cespugli di mesquite e i cactus che punteggiano il confine tra l’Arizona e il Messico sono tutti uguali. Gli occhi allenati di Tim Foley, però, scoprono subito un’altra storia. Ferma il fuoristrada, abbassa il finestrino, e dice in spagnolo: «Ehi, serve aiuto?». Quelle che sembravano foglie ora si muovono, e dal cespuglio emergono due uomini vestiti con la mimetica militare: «Siamo messicani, abbiamo perso la strada. Stiamo qui nascosti da due giorni, muoriamo di sete e di fame, non sappiamo più dove andare». Tim sorride, e con un gesto amichevole indica il cassone del suo fuoristrada: «Salite. Dentro ci sono bottiglie di acqua. Vi do un passaggio».

I due messicani si sistemano sul fondo del cassone, e Tim parte. Intanto Catrina, la sua assistente, chiama gli agenti del Border Patrol: «Vi portiamo un carico». I due illegali pensano di correre verso la libertà, e si sdraiano per nascondersi, quando vedono in lontananza l’auto delle guardie federali. Non sanno che Foley sta andando proprio verso gli agenti, per denunciarli. Frena, li aiuta a scendere, e li consegna ai doganieri: «Scusate ragazzi, prendervi è il mio mestiere. Però vi ho salvato la pelle».
È un giorno come un altro nella vita di Foley, 57 anni, ex paracadutista della 82nd Airborne Division. Tim è originario della California e ha il corpo coperto di tatuaggi: «Questo - mostra orgoglioso - è il simbolo del mio reparto, queste le mie figlie, questi gli dei celtici che mi proteggono. Sulla schiena c’è la mia visione di dove va il mondo», cioè una morte con la falce che corre a cavallo. Sei anni fa Tim si è trasferito in questo buco abitato da 2500 persone, per pattugliare il confine col Messico. Ha fondato il gruppo paramilitare Arizona Border Recon ed è diventato così famoso che Kathryn Bigelow, regista premio Oscar di «Hurt Locker» e «Zero Dark Thirty» gli ha dedicato il documentario «Cartel Land». In altre parole, Foley era trumpista prima ancora che lo fosse Trump. Anzi, oltre: «Voterò alle presidenziali, perché Hillary è una criminale. Però il muro di Donald non basta. Lungo il confine abbiamo già una recinzione alta quattro metri, ma vendono pure le scale alte quattro metri e mezzo. Per fermare davvero il traffico ci vogliono gli scarponi sulla terra».
Tim si sveglia ogni mattina alle 5, indossa la mimetica e la pistola Glock 42, e parte col suo cane Rocko per il confine. «Abr ha sei membri attivi e circa 200 volontari. Ogni mese organizziamo operazioni in cui dormiamo una settimana lungo la frontiera. Non siamo una milizia, perché appena dico che voglio rovesciare il governo, i federali vengono ad arrestarmi. Operiamo nella piena legalità, collaborando con la Us Border Patrol». Foley e i suoi uomini pattugliano il confine, e quando vedono migranti o trafficanti di droga chiamano gli agenti. Poi piazzano telecamere nascoste lungo i passaggi usati dagli illegali, per riprenderli. «Tutti, narcotrafficanti e migranti, usano le mimetiche per non farsi vedere e indossano sovrascarpe per non lasciare tracce. Poi portano borracce nere, perché non riflettono i raggi del sole».
Ci avviamo lungo un sentiero usato dai narcos: «Questa zona è controllata dal cartello di Sinaloa, quello di El Chapo. Ora è in corso la lotta per la successione, e quindi stanno diventando molto violenti. Il 75% del traffico a Sasabe riguarda la droga: marijuana, metamfetamine, cocaina, eroina. Intercettiamo carichi con centinaia di chili, portati negli zaini. Il 25% poi sono migranti illegali. Però non bevetevi la storia dei bambini, perché secondo il governo lo sono tutti i minorenni: qui un ragazzino di 16 anni è già avviato alla carriera dei narcos».
Foley pensa che sia in corso un’invasione: «Secondo i dati ufficiali, lungo il confine sono passati illegali di 78 Paesi diversi, inclusi mediorientali, somali, sudanesi. Dall’inizio dell’anno hanno fermato 5 siriani, e due di loro avevano cilindri metallici nello zaino. L’Fbi li ha portati via e non abbiamo più saputo nulla, perché il governo non vuole ammettere che da questa frontiera si infiltrano anche i terroristi».
Il confine è punteggiato dalle torri con i radar e le telecamere, sorvegliato dai droni e dagli elicotteri, ma secondo Tim non basta: «Abbiamo speso 6,5 milioni di dollari per ogni miglio di recinzione, ma ad un certo punto si ferma e l’accesso è completamente aperto. Neppure il muro di Trump basterà, perché tanto lo scavalcano o scavano i tunnel. Usano pure i droni, per consegnare la droga. La Border Patrol qui ha circa 300 agenti, ma stanno in caserma: bisogna che vengano a fare la guardia sul terreno, come noi». Perché «è una guerra quotidiana. I narcos cambiano tattica ogni giorno, e noi dobbiamo adeguarci. Sarà una lotta infinita». Molta gente non lo capisce: «I liberal vengono qui a lasciare acqua per i migranti, e ci accusano di tagliare le taniche coi coltelli. Non è vero, perché io non voglio far morire la gente di sete nel deserto, ma sulle bottiglie ci sono scritte le coordinate geografiche del luogo, per far capire a chi le trova dove sta: forse questi liberal lavorano in combutta coi narcos?».
Trump ha trasformato la storia di Tim in un programma politico, e lui lo voterà. Però la politica resta nemica: «Crederò a quello che dicono solo quando lo vedrò. Mi hanno pure proposto di candidarmi al Congresso, ma ho rifiutato: il primo giorno a Washington prenderei qualcuno a pugni, e finirei in galera».