martedì 29 novembre 2016

La Stampa 29.11.16
“Rimborsi boomerang. Così si penalizzano i farmaci economici”

Costi di meno ma se vendi di più ti penalizzo. Per una sanità in perenne spending review sembra un controsenso ma è quello che accade con i più economici medicinali generici. Quelli dai nomi impronunciabili dei principi attivi che li compongono, ma uguali in tutto e per tutto alle molecole originali vendute con nome di fantasia e a prezzo raddoppiato.
A spiegare il paradosso è Assogenerici, l’associazione delle imprese che producono le pillole economiche, che si stanno però tenendo sempre più alla larga dalle aste indette dalle Regioni per acquistare al miglior prezzo i medicinali da somministrare poi in ambito ospedaliero. Colpa del meccanismo del «pay back», per il quale quando la spesa per pillole e sciroppi sfonda i «tetti» programmati a ripianare sono chiamate le industrie farmaceutiche e, per i medicinali ad uso ospedaliero, al 50% anche le Regioni. «Ma poiché il margine di profitto sui generici è molto più basso per via dei prezzi mediamente del 50% inferiori a quelli dei corrispettivi di marca, sempre più aziende vanno disertando le aste», spiega l’avvocato Claudio Marrapese, che cura parecchi dei ricorsi contro il meccanismo del pay back presentati dai produttori. Un contenzioso nato dal fatto che le aziende contestano l’entità delle cifre a loro addebitate dall’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco . Ora lo Stato ha cercato di appianare tutto proponendo uno sconto del 10% sulle somme da rimborsare sui più modesti sfondamenti di spesa del 2013 e 2014 e del 20% sul buco da 1,8 miliardi del 2015. Un’offerta alla quale solo parte delle imprese ha aderito mentre molte hanno pagato ma con riserva, lasciandosi le mani libere per altri ricorsi.
Fatto è che se il pay back è un peso per tutti i produttori, per quelli dei generici diventa tale da rinunciare anche a vendere. Così a pagare pegno finiscono per essere paradossalmente proprio le regioni, che con i farmaci senza griffe potrebbero rimettere in ordine almeno in parte i conti della spesa farmaceutica ospedaliera, che quest’anno marciano verso un buco di 2 miliardi di euro, uno dei quali se lo dovranno accollare le stesse regioni.
Per far tornare i produttori a battere i loro prezzi più bassi alle aste regionali d’acquisto Assogenerici chiede che le proprie aziende siano esentate dal meccanismo di ripiano. Che tra l’altro non consente loro di programmare il futuro, visto che ad oggi l’Aifa non ha ancora assegnato alle singole imprese il budget al quale dovranno attenersi quest’anno, superato il quale scatta il famigerato pay back.
Le cosa vanno meglio quando i medicinali vengono venduti in farmacia, dove i dati di Assogenerici dicono che la quota delle più economiche pillole non griffate tra tutti i medicinali a brevetto scaduto è salita ora al 30,7%. Ma resta il fatto che il restante 69,3% è costituito da scatolette con i più allettanti nomi di fantasia prezzate il doppio. E questo differenziale di prezzo finiscono per pagarlo sempre di più gli assistititi, paradossalmente soprattutto quelli anziani e a più basso reddito. La legge prevede infatti che tra più medicinali identici a brevetto scaduto lo Stato rimborsi per intero solo quello con il prezzo più basso, solitamente il generico, lasciando all’assistito l’onere di pagare la differenza se sceglie quello con la griffe. Risultato: nel giro di pochi anni da qualche milione i cittadini hanno finito per pagare oltre un miliardo di euro per un super ticket che avrebbero potuto tranquillamente evitare acquistando pillole fotocopia anche se dai nomi impronunciabili. Potenza del marketing farmaceutico. Ma anche di pregiudizi duri a morire.