La Stampa 29.11.16
Fuga dagli ospedali
Rischiano di sparire 40mila specialisti
Nel mirino le assunzioni bloccate e i numeri chiusi
A mancare all’appello nei prossimi anni saranno soprattutto chirurghi, ginecologi e pediatri
di Paolo Russo
Dopo
una passeggera crisi di vocazione i ragazzi hanno ripreso a fare a
spinte per entrare nelle facoltà di medicina, ma tra blocchi delle
assunzioni e numeri troppo chiusi nelle ancora più ambite scuole di
specializzazione nei prossimi dieci anni dai nostri ospedali rischiano
di sparire 40mila camici bianchi. Una desertificazione di ambulatori e
corsie che, insieme agli altri 16mila medici di famiglia mancanti da qui
a sette anni, rischia di mandare in tilt il nostro sistema di
assistenza sanitaria. Anche perché a mancare all’appello saranno
soprattutto chirurghi, ginecologi, pediatri, internisti, specialità
delle quali non si può fare a meno.
A lanciare l’allarme sulla
fuga dagli ospedali d’Italia è uno studio condotto dall’Anaao, il più
forte sindacato di categoria, pronto allo sciopero sotto le feste se il
governo non metterà sul piatto proposte concrete per arginare il
problema e soldi per rinnovare un contratto fermo al palo da sette anni.
Intanto
i numeri dello studio parlano chiaro: tra il 2021 e il 2015 dalle
attuali circa diecimila uscite l’anno si passerà a oltre 5.600
pensionamenti, perché attaccheranno il camice al chiodo i dottori figli
del baby boom. Così in un decennio andranno in quiescenza 47.300
specialisti ospedalieri più 8.200 universitari e specialisti
ambulatoriali. In tutto un esodo di 55.500 medici. E siccome vige il
parziale blocco delle assunzioni, che consente di sostituire solo un
camice bianco su quattro, significa che all’appello mancheranno appunto
40mila dottori. Nemmeno a dire che a contenere le perdite serviranno gli
stanziamenti dell’ultima legge di stabilità, visto che servono a
stabilizzare settemila precari che già lavorano e non ad assumere nuova
forza lavoro. Lo stesso dicasi delle tremila assunzioni programmate lo
scorso anno dal Governo, quasi tutte ferme al palo perché la maggioranza
delle regioni si è guardata bene dal presentare i dati sui propri
fabbisogni.
Così nei nostri ospedali i medici iniziano a
scarseggiare e a mettere sempre più capelli bianchi. Già oggi quasi la
metà di loro, per l’esattezza il 48,7%, ha più di 55 anni, con gli
ultrasessantenni sopra quota 20% mentre i giovani tra i 30 e i 34 anni
sono appena l’1,7%. «Medici più anziani di noi in Europa non li ha
nessuno e nel mondo siamo secondi dietro solo ad Israele», rimarca il
Vice segretario nazionale vicario dell’Anaao, Carlo Palermo, tra i
curatori dell’indagine ancora inedita. E non trovando sbocchi in Italia
sempre in maggior numero ripiegano il camice in valigia ed emigrano
all’estero. A richiedere la documentazione per poter esercitare oltre
confine erano solo in 369 nel 2009, sono diventati 1.836 lo scorso anno.
«Ognuno di loro è costato sui 150mila euro per la formazione, è come
dire che regaliamo 1.800 Ferrari l’anno agli altri Paesi», sottolinea
Palermo.
Ma carenza e invecchiamento della nostra classe medica
non sono solo colpa dei blocchi delle assunzioni imposti dalla
finanziarie degli ultimi anni. A fare il resto c’è anche un «imbuto
formativo», che a fronte di richieste d’ingresso sempre più pressanti e
pensionamenti sempre più massicci continua a lesinare con il contagocce i
posti disponibili nelle scuole di specializzazione. Oggi le porte si
aprono a 6.100 laureati in medicina mentre ce ne sarebbe bisogno di
7.900 l’anno. Come dire che continuando di questo passo in un decennio,
qualora si tornasse pure ad assumere a piene mani, mancherebbero pur
sempre quasi 20mila neo-specializzati a rimpiazzare chi esce.
Intanto
già ora quelli che ci sono non bastano. La riprova viene dalle oltre
settemila segnalazioni sul mancato rispetto dello stop ai turni
massacranti imposto dalla direttiva europea sull’orario di lavoro.
Denunce che minacciano ora di avviare altrettanti ricorsi.