La Stampa 29.11.16
Alejandro, l’erede dei Castro che fa già affari con gli Usa
Il
figlio di Raúl presidente ombra. È al vertice della gerarchia
dell’isola Con lui accordi sottobanco e disgelo con investitori
americani
L’ingegnere Alejandro Castro-Espin, 51 anni, è laureato in ingegneria
Finiti gli studi è entrato nelle Forze Armate partecipando alla missione rivoluzionaria in Angola
di Paolo Mastrolilli
L’appuntamento
per cena era al Club Habana di Flores, dove negli Anni 20 c’era il
prestigioso Biltmore Yacht & Country Club.
Alejandro
Castro si era presentato a bordo di una vera jeep d’epoca della Seconda
guerra mondiale, guidandola lui di persona. L’occasione era l’incontro
con un gruppo di imprenditori canadesi, americani e spagnoli, che
stavano progettando un grande complesso turistico sulla costa tra
L’Avana e Varadero. Per farlo approvare, però, era indispensabile il via
libera di Alejandro.
Questo episodio avvenuto nel settembre
scorso, che «La Stampa» è in grado di rivelare grazie a una persona
presente a quella cena, conferma le voci di corridoio secondo cui il
figlio di Raúl è sempre più importante nella gerarchia di Cuba, e molti
cominciano a vederlo come il vero erede del padre e dello zio Fidel. Il
successore designato resta il vicepresidente Miguel Diaz-Canel, e magari
se Raúl si ritirerà l’anno prossimo, come promesso, la guida formale
del Paese toccherà davvero a lui. Tutti però sanno che se Alejandro non
diventerà presidente, per non dare l’impressione di una successione
monarchica all’interno della famiglia, di sicuro dietro le quinte sarà
lui a comandare.
La cena di settembre era stata organizzata da un
imprenditore americano, capofila di un hedge fund degli Stati Uniti
interessato ad investire nell’isola. La legge però vieta ancora queste
operazioni dirette, e quindi l’imprenditore si era rivolto ad amici
canadesi e alla famiglia dei banchieri spagnoli Botín. Il progetto era
enorme: hotel di lusso, campi da golf, marina e mall, con tutti i
servizi annessi. Canadesi e spagnoli ci avrebbero messo la faccia, gli
americani i soldi. Siccome a Cuba nel campo del turismo nulla si muove
senza l’approvazione dei militari, il gruppo di investitori aveva
puntato più in alto possibile. Alejandro aveva accettato l’invito,
presentandosi e bordo della sua jeep. Aveva conversato amabilmente della
sua passione per le auto, lo sport e le donne, senza lasciarsi sfuggire
neppure una parola sulla politica. Quindi aveva salutato sorridente,
lasciando i commensali ottimisti sulle prospettive del loro progetto.
Ora
torna tutto in alto mare, non tanto per la morte di Fidel, quanto per
l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Quello che resta fuori
dubbio, però, è l’influenza di Alejandro su questo genere di progetti, e
in generale sul futuro di Cuba.
L’unico figlio maschio di Raúl e
Vilma Espin è nato a L’Avana 51 anni fa, ha una laurea in ingegneria
presa all’Instituto Superior Politecnico José Antonio Echeverria, e un
master in relazioni internazionali. Appena finiti gli studi era entrato
nelle forze armate, seguendo le orme del padre ministro della Difesa.
Raúl però faceva sul serio, e lo aveva spedito a farsi le ossa con la
missione rivoluzionaria in Angola, dove a causa di un incidente aveva
perso la vista da un occhio. Da qui il soprannome «El tuerto», cioè «Il
guercio», con cui i dissidenti amano insultarlo. Dopo l’Angola si era
trasferito al ministero dell’Interno, crescendo nei ranghi
dell’intelligence fino al grado di colonnello, in attesa di promozione a
generale. Alex, come lo chiamano gli amici americani, sembrava
destinato a una carriera tranquilla all’ombra del padre. La malattia di
Fidel, però, ha cambiato tutto. Da quando ha preso il potere, Raúl ha
cominciato a coinvolgere sempre di più il figlio negli affari di Stato.
Con il consenso di Fidel, che secondo Norberto Fuentes aveva un rapporto
col nipote «simile a quello che Vito Corleone aveva con Michael nel
Padrino». Nel 2015, quando Raúl aveva incontrato il presidente americano
Obama a Panama, al suo fianco c’era Alejandro. Stesso discorso quando a
maggio era andato a Roma per vedere Papa Francesco. L’accordo del 17
dicembre, che aveva ristabilito le relazioni tra Washington e L’Avana,
aveva incluso anche uno scambio di prigionieri, tra cui tre spie cubane
venerate come eroi in patria. Al loro ritorno, ad accoglierli sotto la
scaletta dell’aereo c’era Alejandro.
Tutti questi avvistamenti non
solo hanno alzato il profilo del figlio di Raúl, ma hanno fatto
supporre che abbia avuto un ruolo centrale nell’accordo con gli Usa,
nonostante avesse scritto un severo libro contro l’imperialismo
americano intitolato «El imperio del terror». Infatti era lui a gestire i
progetti per gli investimenti comuni, come quello discusso nella cena
di settembre. Ora con Trump cambia tutto, ma il soldato Alejandro è
pronto anche a fare il duro, se il nuovo capo della Casa Bianca tornerà
ad offrirgli l’embargo come scusa per usare il pugno di ferro.