La Stampa 29.11.16
Trump minaccia L’Avana
“Cambiamo l’accordo o è rottura”
Il
presidente eletto: migliorare l’intesa a favore dei cubani nell’isola e
negli Usa Ma Obama difende il disgelo: benefici per gli esuli e per
indebolire la repressione
di Pao. Mas.
«Se Cuba
non vuole fare un accordo migliore per il suo popolo, per i
cubano-americani e per gli Stati Uniti, io metterò fine all’intesa». Il
presidente eletto Donald Trump ha scelto ancora Twitter per comunicare
la sua linea dura a L’Avana. Se il regime non è disposto a cambiare i
termini dell’accordo con cui Obama ha ristabilito le relazioni
bilaterali a dicembre 2015, lui è pronto a cancellarlo. Ora si tratta di
capire quanto questa durezza sia retorica politica, dovuta per
compensare gli elettori di origini cubane che lo hanno aiutato a vincere
in Florida, e quanto invece sia una linea meditata che riporterebbe
agli anni duri dell’embargo.
Ieri mattina alle 9 dall’aeroporto
Kennedy di New York è decollato il primo volo commerciale americano per
Cuba in oltre mezzo secolo. L’aereo apparteneva alla JetBlue, e poco
dopo l’American Airlines ha fatto il suo debutto, da Miami a L’Avana. In
realtà i voli diretti tra i due Paesi esistevano già da tempo, ma non
erano commerciali come quelli di ieri. Trump però minaccia di bloccarli
sul nascere, così come tutti i progetti di investimento per lo sviluppo
dell’isola, se Raúl Castro non farà più concessioni, ad esempio
liberando i dissidenti, consentendo la libertà di espressione,
convocando elezioni davvero libere e democratiche e compensando i cubani
americani, le cui proprietà furono confiscate dopo la rivoluzione. «Il
presidente eletto Trump - ha spiegato la sua consigliera Kellyanne
Conway - è aperto alle relazioni bilaterali, ma in cambio non abbiamo
avuto nulla. Fingiamo di fare affari col popolo cubano, quando in realtà
li concludiamo col governo e le forze armate, che controllano ancora
tutto».
Pochi capiscono le prospettive di sviluppo esistenti a
Cuba meglio di Trump, perché consistono soprattutto nel turismo, gli
alberghi, i campi da golf e l’edilizia residenziale. Infatti negli anni
scorsi aveva visitato l’isola, aveva criticato l’embargo, che non era
riuscito a rovesciare il regime, diventando invece la giustificazione
del pugno di ferro adottato dai fratelli Castro. Poi però si è candidato
alla Casa Bianca, e ha capito che come repubblicano non poteva più
tenere questa posizione. Durante uno dei suoi viaggi elettorali in
Florida ha incontrato in segreto gli esponenti della comunità cubana,
gli eredi di Jorge Mas Canosa, alleato di Ronald Reagan e fondatore
della Cuban American National Foundation, promettendo la linea dura
contro L’Avana in cambio del voto. L’8 novembre ha vinto e quindi ora
deve onorare l’impegno.
La realtà però non è così semplice. Come
prima cosa l’amministrazione Obama sostiene che la riapertura delle
relazioni è stata voluta da Castro perché ha bisogno di fondi, dopo la
fine degli aiuti del Venezuela, e proprio i cubano- americani ormai sono
proprietari di mezza isola, che hanno comprato mandando i soldi ai
parenti rimasti nel Paese. Pochi capiscono come Trump le opportunità
economiche di Cuba, che offrono anche una leva per fare pressione sul
regime. Chiudere questi canali, invece, restituirebbe a Raúl la scusa
dell’embargo per adottare politiche più repressive, e magari favorirebbe
tensioni violente, scatenando una nuova ondata di profughi verso la
Florida che metterebbe in crisi gli Usa.