La Stampa 26.11.16
Interviene la Corte costituzionale. Affossata la riforma Madia
La
Consulta: finché c’è il titolo V, Stato e Regioni devono concertare sui
dirigenti Renzi: “Il Paese è bloccato dalla burocrazia, ecco perché
serve il Sì al referendum”
di Francesco Grignetti
No,
un semplice «parere» non può bastare, occorre una «intesa», almeno
finché è in vigore il Titolo V della Costituzione così com’è, assegnando
pari dignità allo Stato e alle Regioni. La Corte costituzionale si è
espressa sulla riforma della pubblica amministrazione e ha bocciato,
come richiesto dal Veneto, il capitolo dedicato ai dirigenti pubblici
regionali. La legge Madia vìola dunque la Costituzione. Il principio che
la Consulta richiama è che, a Costituzione vigente, certe competenze,
come la riorganizzazione della dirigenza pubblica, appartengono sia allo
Stato, sia alle Regioni, e non si possono imboccare scorciatoie.
Il
governo ci aveva provato a seguire la via del «parere», procedura
velocizzata e non vincolante. Secondo i giudici costituzionali, invece,
su questa materia (ma chiaramente il principio vale anche su altro: dai
dirigenti della sanità alle partecipate, ai servizi locali come
trasporti, rifiuti, illuminazione) sarà necessario il più lungo e
concertativo iter della «intesa», da raggiungere nella Conferenza
Stato-Regioni.
Materia ostica, si dirà. Ed è vero. Ma siccome, il
rapporto tra Stato e Regioni, guarda caso, verrebbe modificato proprio
dalla riforma costituzionale che porta la firma di Matteo Renzi, e
quindi è un pezzo del referendum del 4 dicembre, questa sentenza della
Corte costituzionale piomba come una bomba nella campagna referendaria.
Il premier non tarda a esternare. «La Consulta - dice nel corso di un
comizio a Vicenza -ha dichiarato parzialmente illegittima la norma sui
dirigenti perché non abbiamo coinvolto le Regioni: questo dimostra che
siamo un Paese bloccato». E ancora: «Avevamo fatto un decreto per
rendere licenziabile il dirigente che non si comporta bene e la Consulta
ha detto che siccome non c’è “intesa” con le Regioni, e avevamo chiesto
un “parere”, la norma è illegittima. E poi mi dicono che non devo
cambiare le regole del Titolo V... Siamo circondati da una burocrazia
opprimente».
Paese bloccato? Burocrazia opprimente? Di colpo la
polemica si sposta su altri piani. Dei dirigenti pubblici regionali non
interessa più nulla, quanto del seguente interrogativo: ma Renzi si sta
forse sfogando contro la Corte costituzionale? Susanna Camusso,
segretaria della Cgil, in campo per il No, ci vede piuttosto una sparata
contro i poteri locali: «Questa sentenza - commenta - non c’entra nulla
con la riforma del Titolo V. Le affermazioni di Renzi mi sembrano
assolutamente strumentali, a meno che non si voglia entrare a gamba tesa
sui poteri delle Regioni. Ma se uno è dirigente regionale, rimane
tale». A questo punto, conclude, «la normale conseguenza è che devono
cambiare la riforma: i poteri delle autonomie locali non possono essere
scavalcati. Evidentemente potevano pensarci prima».
I parlamentari
grillini, invece, interpretano il comizio di Renzi come un assalto alla
Corte costituzionale. «Renzi vuole forse abrogare la Corte
costituzionale? Abbia più rispetto per le istituzioni previste da quella
stessa Carta costituzionale che vuole azzoppare». Uguale
l’interpretazione di Renato Brunetta, Forza Italia: «Un premier che
parla così della Corte Costituzionale? Pazzesco. Mattarella intervenga».
Gli fa eco Arturo Scotto, Sinistra italiana: «Dichiarazione sbagliata:
non si può trattare anche la Corte costituzionale come un covo di
frenatori».