La Stampa 25.11.16
Renzi: “In Europa rivogliono i tecnici”
Il premier si sente accerchiato
L’Economist sceglie il No. E parte il totoministri: Bini Smaghi all’Economia
di Fabio Martini
L’autorevole
Economist» vota No al referendum e auspica un governo tecnico al posto
di quello guidato da Matteo Renzi? Raccontano che quando il presidente
del Consiglio ha letto l’editoriale molto antipatizzante che gli ha
dedicato il settimanale inglese, prima ha avuto un moto di fastidio, ma
poi ha pensato di «valorizzarlo». Di trasformarlo in uno spauracchio da
cavalcare nell’ultima settimana di campagna elettorale: cari italiani,
state attenti che se cado io, arriva un governo tecnico.
Nelle
segrete stanze il commento di Renzi è stato molto secco: l’«Economist» è
stato chiaro, loro vogliono un nuovo governo Monti o qualcosa del
genere, un governo che si allineerà, non fiaterà più in Europa, ma io
non ci starò mai e lo racconterò agli italiani. Rilanciando lo spettro
di quel «governicchio tecnichicchio» che Renzi - immaginandone la
impopolarità - da tre settimane aveva qua e là ventilato, ma che ora è
pronto a rilanciare con più energia di prima. .
L’editoriale
dell’ultimo numero dell’«Economist» è un autentico pugno nello stomaco.
Secondo il settimanale britannico, Renzi «ha sprecato quasi due anni ad
armeggiare con la Costituzione. Prima l’Italia torna ad occuparsi delle
riforme vere meglio è per tutta l’Europa». Per l’«Economist» le riforme
vere sono «quelle strutturali, dalla giustizia all’istruzione», perché
la riforma costituzionale proposta da Renzi «non si occupa del
principale problema dell’Italia: la riluttanza a riformare». Il
settimanale inglese si produce anche in una analisi della psicologia
collettiva degli italiani: «Nel tentativo di porre fine all’instabilità
che ha portato 65 governi in Italia dal 1945 introduce la figura
dell’uomo forte. E questo nel Paese che ha prodotto Benito Mussolini e
Silvio Berlusconi ed è vulnerabile rispetto al populismo».
Ma la
parte più spiazzante è quella nella quale l’«Economist» si occupa anche
dell’eventuale dopo-Renzi: in caso di vittoria del No, non è scontata
«la catastrofe che tanti in Europa temono. L’Italia potrebbe mettere
insieme un governo tecnico, come ha fatto tante volte in passato. Se,
invece, la sconfitta ad un referendum dovesse innescare il crollo
dell’euro, allora vorrebbe dire che la moneta unica era così fragile che
la sua distruzione era solo una questione di tempo».
Certo
l’«Economist» ha spesso il gusto per le prese di posizioni spiazzanti,
programmaticamente diverse da quelle del «Financial Times» e tuttavia -
restando espressione di quell’establishment collocato sull’asse
Londra-Bruxelles - ovviamente non «parla» agli elettori italiani ma
semmai agli investitori della City e non solo: per rassicurarli, per
scongiurare collassi finanziari che nessuno in Europa vuole. E «parla»
anche all’establishment politico europeo che non ama Renzi e col quale
il presidente del Consiglio è entrato più volte in collisione. Sono
arrivati anche a Roma i boatos che - tra Londra e Bruxelles - parlano di
un nuovo governo - affidato al presidente del Senato Pietro Grasso o a
Pier Carlo Padoan - con Lorenzo Bini Smaghi all’Economia e Mario Monti
agli Esteri. Renzi, pur considerando questi boatos fantasie, non
sottovaluta l’ostilità che oramai lo accompagna a Bruxelles e
soprattutto sa bene che la sconfitta dei Democratici negli Usa lo ha
lasciato più solo in caso in cui il dopo-referendum, rivelandosi incerto
e contrastato, chiamasse in causa le principali cancellerie
internazionali. Come accadde nel 2011 con Mario Monti.