Il Sole 25.11.16
La replica all’«Economist» schierato per il No
Il premier: abbassare i toni, scalare una marcia - Berlusconi: «Ha la maggioranza non possiamo mandarlo a casa noi»
Renzi: «Governo tecnico? Non ci starò mai»
ROMA
«Perché l’Italia dovrebbe votare No al referendum». A dieci giorni dal
voto arriva la stoccata del prestigioso settimanale britannico Economist
contro Matteo Renzi e il suo governo. E naturalmente il premier, in
piena campagna elettorale, accoglie per così dire con una certa
irritazione l’editoriale che boccia la riforma del Senato e del Titolo V
come non risolutiva dei problemi italiani e paventa il rischio
autoritarismo. «Nel tentativo di porre fine all’instabilità che ha
portato 65 governi in Italia dal 1945 (in realtà i governi sono stati
63, ndr) la riforma introduce la figura dell’uomo forte - scrive
l’Economist -. E questo nel Paese che ha prodotto Benito Mussolini e
Silvio Berlusconi ed è vulnerabile rispetto al populismo». La soluzione?
«L’Italia potrebbe mettere insieme un governo tecnico come ha fatto
tante volte in passato».
Irritazione, si diceva. Ma in un certo
senso queste parole sono anche musica alle orecchie di Renzi, che
ribalta il punto di vista: «L’Economist vuole un governo tecnico, alla
fine è una posizione chiara. Tutti sanno che se vince il Sì l’Italia
apre una battaglia nell’Unione europea. Sull’austerity,
sull’immigrazione, sulle banche. Se vince il Sì - prosegue il premier
nel suo ragionamento - l’Italia è il Paese più stabile d’Europa».
Evidente dunque, si sottolinea a Palazzo Chigi, che qualcuno preferisca
un governo tecnico, anzi tecnocratico come scrive il settimanale
britannico. «Col No c’è un governo tecnico e nessuno fiaterà a
Bruxelles. L’articolo è chiaro: vogliono un nuovo governo Monti o
qualcosa del genere. Ecco perché io non ci starò mai», chiosa Renzi.
D’altra
parte il rifiuto di appoggiare governi siffatti Renzi lo ha ribadito
anche nelle conversazioni avute con alcuni dirigenti del Pd nei giorni
scorsi. Né sembra intenzionato ad accettare un reincarico, strada che il
Capo dello Stato da parte sua percorrerebbe dal momento che una
maggioranza in Parlamento c’è, e non cambierà quale che sia l’esito del
voto referendario. In caso di vittoria del No la linea resta per ora
quella indicata dal vicesegretario Lorenzo Guerini nei giorni scorsi:
favorire come Pd la nascita di un governo politico (la soluzione
migliore, anche per tranquillizare mercati ed Europa, è quella di un
governo Padoan) che sistemi la legge elettorale per tornare alle urne il
prima possibile. Piuttosto c’è un passaggio cruciale su cui i
retroscena giornalistici sul dopo-referendum non si sono finora
soffermati ma sul quale nei palazzi che contano si sta ragionando
seriamente. Ferma restando l’intenzione di Renzi di rassegnare le
dimissioni da premier (ma certo non da segretario del Pd), in caso di
vittoria del No ci sarebbe il problema della legge di bilancio che il 4
dicembre sarà stata approvata dalla Camera (il via libera è previsto per
lunedì, giorno in cui Renzi ha già fissato una conferenza stampa a
Palazzo Chigi per illustrare le misure) ma non ancora al Senato: se
Renzi rassegnasse le dimissioni subito il Paese andrebbe in esercizio
provvisorio. Quindi le dimissioni saranno annunciate e in un certo senso
“congelate” fino all’approvazione definitiva della manovra. Che
potrebbe arrivare a stretto giro, via fiducia, oppure a fine dicembre
come da prassi e come prevede la legge (entro il 31). Insomma, anche per
dare un segnale di stabilità all’esterno, lo show down politico
potrebbe slittare a gennaio.
Per l’intanto Renzi - confortato da
alcuni importanti segnali di inversione di tendenza nelle intenzioni i
voto - vuole trasmettere un messaggio di serenità, invitando
esplicitamente ad «abbassare i toni» e «scalare la marcia». E Silvio
Berlusconi, da parte sua, continua a tessere la sua tela per il dopo
puntando sulla vittoria del No e sul ritorno al proporzionale: «Non
credo che mai Sergio Mattarella potrebbe consentire elezioni con
l’Italicum, perché correremmo davvero il rischio di ritrovarci i Cinque
Stelle al governo». E ancora: «Renzi ha comunque la maggioranza, non
possiamo mandarlo a casa noi».