Corriere 25.11.16
Se l’Europa sta alla finestra
di Massimo Franco
L’Economist
sdrammatizza il risultato del referendum, sembra schierarsi per il No e
usa toni duri con il premier Matteo Renzi. Non va sopravvalutato, così
come non va amplificato l’allarme che altre testate occidentali hanno
lanciato in caso di sconfitta del Sì. Semmai è la dimostrazione che
oltre confine sta prevalendo una lettura più distaccata di quanto potrà
accadere sullo scenario politico. L’Europa resta alla finestra.
I l
fatto che l ’Economist sdrammatizzi il referendum del 4 dicembre, e
sembri schierarsi per il No, non va sopravvalutato: come non va
amplificato l’allarme lanciato di recente da altre testate occidentali
in caso di sconfitta del Sì. Ma che la bibbia del mondo finanziario
internazionale non si scaldi per l’esito della consultazione italiana è
un indizio politico, oltre che economico. Dimostra che oltre confine si
comincia a dare una lettura più fredda di quanto può accadere; e a
rifiutare gli scenari che i due schieramenti, con obiettivi opposti,
cercano di accreditare.
Semmai, a sorprendere è la durezza nei
confronti di Matteo Renzi. Dire che la proposta di Parlamento offerta
col referendum offende i principi democratici, che finora il premier ha
perso tempo su riforme inutili, e che per paradosso una vittoria del Sì
abbinata all’ Italicum porterebbe a un governo di Beppe Grillo, sa di
stroncatura: per di più nel giorno in cui il Senato ha approvato un
decreto fiscale innovativo per i contribuenti, con l’addio a Equitalia
dal luglio prossimo. Importa poco che nell’analisi si ritrovino alcune
perplessità più diffuse di quanto appaia.
La cosa singolare è che
l’ Economist le faccia proprie, arrivando alla conclusione che Renzi
abbia creato un allarme sulla tenuta dell’Italia per un referendum
ritenuto sbagliato. Se Renzi fosse costretto alle dimissioni, aggiunge,
non succederebbe niente di irreparabile. Nascerebbe un governo tecnico e
l’Italia potrebbe dedicarsi a vere riforme strutturali: tesi un po’
semplicistica, dopo gli esecutivi che già si sono succeduti negli ultimi
anni. Dà per scontati passaggi assai poco prevedibili, in caso di crisi
di governo. E Palazzo Chigi lo sottolinea.
Anche perché dare per
quasi certo un successo del No è, come minimo, imprudente. La crescita
di una «maggioranza silenziosa» per il Sì magari sarà limitata, ma gli
avversari di Renzi la temono. Semmai, quanto avviene conferma che per
tutti il 4 dicembre archivia una fase politica; e che la nuova si aprirà
con un’incognita sul governo Renzi. Per paradosso, oggi uscirà sul
Financial Times un articolo dell’ex premier Mario Monti in cui spiega
perché voterà No; ma che non esclude la permanenza del premier a Palazzo
Chigi.
D’altronde, sono settimane che le ambasciate a Roma
inviano dispacci nei quali consigliano di ignorare le critiche del
governo italiano all’Europa: tattica referendaria per prendere voti
populisti, si spiega. È una convinzione, e un tentativo di placare
l’irritazione che serpeggia da Bruxelles a Bratislava. «Il vostro
premier si crea nemici inutili», si sente dire un po’ troppo spesso.
Eppure, la sensazione è che la fragilità italiana faccia paura perché
mette a nudo impietosamente quella del Vecchio continente.