il manifesto 25.11.16
L’Economist tifa No. Arrivano i pompieri
Referendum.
Per il settimanale britannico si rischia l'uomo solo al comando. E «le
dimissioni di Renzi potrebbero non essere la catastrofe che molti in
Europa temono». La Bce pronta a aprire l'ombrello in caso di turbolenze
finanziarie
di Andrea Colombo
Contrordine. La
vittoria del No non fa più paura. L’Economist, anzi, si schiera
apertamente e non ci va leggero: «Gli italiani dovrebbero votare No.
Renzi ha sprecato quasi due ad armeggiare con la Costituzione. Prima
l’Italia torna a occuparsi delle riforme vere meglio è per tutta
l’Europa. Il nuovo Senato sarebbe un magnete per la peggiore classe
politica. Ogni eventuale beneficio della riforma è secondario rispetto
ai rischi, in cima ai quali c’è quello di un uomo solo eletto al
comando. Le dimissioni di Renzi potrebbero non essere la catastrofe che
molti in Europa temono. L’Italia potrebbe mettere insieme un governo
tecnico come ha fatto tante volte». De profundis. Che arriva dal
prestigioso settimanale britannico dell’Economist Group controllato
dalla Exor – la holding degli Agnelli – proprio nel giorno in cui Renzi
andava a Cassino a raccogliere l’endorsement di Sergio Marchionne.
La
Bce è molto più felpata e tuttavia getta a sua volta acqua sul fuoco.
«Non si possono prevedere le conseguenze di una vittoria del No e i
rendimenti dei titoli di Stato hanno subito movimenti al rialzo perché i
mercati iniziano a valutare il rischio referendum», esordisce il
vicepresidente Vitor Constancio. Poi però rassicura: «La Bce è pronta a
esercitare un ruolo di stabilizzazione come ha sempre fatto». La rete di
protezione è pronta.
La strategia della sdrammatizzazione trova
pronto riscontro in Italia, anche all’interno del Fronte del Sì e nel
Pd. Aveva iniziato Dario Franceschini, mercoledì scorso, ripetendo che
anche se la riforma fosse sconfitta Renzi non dovrebbe affatto
dimettersi. Rilancia oggi il governatore della Toscana Enrico Rossi:
«Renzi può continuare a governare sostenuto dal partito. Credo che
questa, qualunque sia l’esito del referendum, sia l’ipotesi migliore per
il Paese e per la sinistra».
Il pompiere numero uno, però, è
Silvio Berlusconi. Ripete che non sarà comunque Forza Italia a chiedere
la testa del premier: «Ha la maggioranza, quindi sarà una sua
decisione». Il leader azzurro sta facendo quel che aveva da tempo
annunciato ai suoi. Dopo aver atteso l’ultimo scorcio di campagna è
entrato in campo con la massima determinazione occupando quanti più
spazi mediatici possibile e sgombrando il campo da ogni voce su un suo
sostegno segreto alla riforma: «E’ pericolosa, apre la strada a una
possibile deriva autoritaria». Aggiunge di suo la battuta forse più
cattiva di cui sia mai stato fatto oggetto Matteo Renzi: «Ha sbagliato
lavoro: come presentatore televisivo io lo avrei preso subito».
Ma
se fino al referendum l’ex Cavaliere gioca la stessa partita degli
altri sostenitori del No, le cose cambieranno un minuto dopo.
Soprattutto, ma non esclusivamente, se la riforma verrà sconfitta. I
suoi alleati Salvini e Meloni hanno fretta. Vorrebbero capitalizzare
l’eventuale successo subito dopo la modifica della legge elettorale e
forse persino prima, anche a costo di votare con un sistema diverso per
Camera e Senato. Il dinamico ottantenne è deciso a federarsi con loro,
sostiene di avere già un progetto preciso. Ma sui tempi non se ne parla.
Con o senza Renzi premier Berlusconi vuole prendere tempo, modificare
la legge elettorale, iniziare a discutere di una riforma costituzionale
condivisa. E’ certo di avere nella manica l’asso del Quirinale: «Non
credo che il presidente potrebbe mai consentire elezioni con l’Italicum.
Ci sarebbe il rischio di ritrovarci Grillo al governo».
L’argomento
non è precisamente istituzionale e tanto meno corretto, ma ha il suo
peso. Non è l’unico però. Il punto essenziale è che il No alla riforma
suonerebbe automaticamente come bocciatura anche della legge elettorale.
Per Renzi, che ne ha già promesso la modifica, difenderla sarà
impossibile. Sulla carta ci sarebbe il tempo per varare una legge nuova e
votare in primavera. Nei fatti è quasi impraticabile e una volta
superata l’estate sciogliere le Camere con pochi mesi di anticipo non
avrebbe senso. Come l’Economist ha indicato, se vincerà il No è quasi
certo che la legislatura arriverà alla sua scadenza naturale.