Corriere 25.11.16
L’Economist per il No: poi il governo tecnico
Il settimanale britannico si schiera: sprecati due anni ad armeggiare con la Costituzione
Palazzo Chigi: a Londra preferirebbero un esecutivo alla Monti, ma noi non ci staremmo mai
di Dino Martirano
ROMA
«Un No con rammarico» è sempre un No. E se lo scrive The Economist , il
settimanale inglese che in un recente passato bollò Silvio Berlusconi
come premier «inadatto a guidare il Paese», il «gran rifiuto» per la
riforma costituzionale di Matteo Renzi potrebbe assumere un profilo
nuovo, e internazionale. Matteo Renzi «ha sprecato quasi due anni ad
armeggiare con la Costituzione. Prima l’Italia torna a occuparsi delle
riforme vere meglio è per tutta l’Europa». Perché, insiste l’editoriale,
«le riforme vere sono quelle strutturali, dalla giustizia
all’istruzione». In altre parole, la riforma costituzionale Renzi-Boschi
«non si occupa del principale problema dell’Italia: la riluttanza a
riformare...».
Il settimanale inglese prende di petto il
presidente del Consiglio e mette in guardia gli italiani: la riforma
«introduce la figura dell’uomo forte seppure eletto. Questo, in un Paese
che ha prodotto Benito Mussolini e Silvio Berlusconi» può renderlo
«vulnerabile al populismo montante». E infatti la riforma Renzi, secondo
l’analisi del settimanale inglese che si cimenta anche con la critica
al premio di maggioranza dell’Italicum, può produrre un amaro paradosso:
«Lo spettro del signor Grillo come primo ministro, eletto da una
minoranza e cementato nella sua funzione dalla riforma di Renzi, viene
considerato come uno scenario molto problematico non solo in Italia ma
anche in Europa». Dunque, è la conclusione tranciante dell’ Economist ,
«gli italiani non dovrebbero essere ricattati» con scenari apocalittici:
«Le dimissioni di Renzi non sarebbero la catastrofe che tanti in Europa
temono. E l’Italia potrebbe avere un governo tecnico come tante volte
ha fatto in passato. Se invece la sconfitta a un referendum dovesse
innescare il crollo dell’euro, allora vorrebbe dire che la moneta unica
era così fragile che la sua era solo una questione di tempo».
A
Palazzo Chigi questo affondo ha fatto scattare una reazione che si basa
su tre punti: tutti sanno che se vince il Sì l’Italia apre una battaglia
nella Ue sull’austerity e sull’immigrazione; se vince il Sì, l’Italia è
il Paese più stabile d’Europa; evidente che (a Londra e non solo)
preferiscano un governo tecnico. Vogliono un nuovo governo Monti o
qualcosa del genere. E Renzi, è il messaggio di Palazzo Chigi, non ci
starà mai. Poi, per uno scherzo della storia, Silvio Berlusconi, che
pure fu ben bastonato dall’ Economist fino a far volare le carte
bollate, oggi si trova più o meno sulla stessa lunghezza d’onda: «È una
riforma insufficiente e inutile che potrebbe consegnare il potere
sull’Italia e gli italiani a un uomo solo e non porta i benefici
promessi». L’ex premier Berlusconi si occupa pure della legge elettorale
vigente che prevede il ballottaggio: «Non credo che mai il presidente
della Repubblica potrebbe consentire le elezioni con l’Italicum perché
avremmo davvero il rischio di ritrovarci Grillo e i Cinque Stelle al
governo». Ed è interessante leggere in filigrana anche il punto di vista
di Danilo Toninelli, uno dei deputati esperti del M5S: «Se vincerà il
No al referendum, prenderanno tutto il tempo per fare la legge
elettorale il più possibile contro il M5S». Come dire che cancellare il
ballottaggio gradito ai grillini e non più al Pd sarebbe più difficile
con la vittoria del Sì.