La Stampa 21.11.16
Blair prepara il ritorno sulla scena contro la svolta a sinistra dei laburisti
La tentazione dell’ex premier: May? Insignificante, Corbyn è un folle
di Alessandra Rizzo
Un
ritorno di Tony Blair alla politica attiva? L’ipotesi fino a poco tempo
fa sarebbe sembrata fantapolitica ma nella Gran Bretagna post-Brexit di
Theresa May, con un Labour sempre più corbinista, Blair ci potrebbe
provare. Secondo il «Sunday Times», l’ex leader laburista ritiene di
poter giocare un ruolo chiave nel processo di uscita dall’Unione europea
e colmare il vuoto politico lasciato da una premier e un capo
dell’opposizione nei confronti dei quali ha giudizi poco lusinghieri:
ritiene Theresa May «un peso piuma», secondo quanto ha riferito al
giornale una fonte non meglio specificata, e Jeremy Corbyn «uno
svitato».
Secondo il domenicale, Blair, che nei dieci anni a
Downing Street è stato un sostenitore dell’Ue e nel referendum si era
schierato contro la Brexit, vorrebbe creare un istituto con lo scopo di
influenzare le politiche del governo e cercare di ammorbidire il più
possibile il divorzio da Bruxelles. Starebbe cercando un ufficio nel
cuore della Londra politica, a Whitehall, per trasferirvi uno staff di
130 persone. Inoltre avrebbe incontrato vari ministri ed ex ministri,
tra cui l’ex cancelliere dello Scacchiere George Osborne. I due, ha
riferito una fonte al «Sunday Times», condividono l’idea che «la Brexit
finirà in un disastro, con lacrime e rabbia». E nei prossimi giorni
Blair potrebbe incontrare anche la May «per un caffè».
L’ufficio
dell’ex premier ha fatto sapere che al momento non ci sono progetti di
traslochi a Whitehall. Ma le voci di un suo possibile, clamoroso rientro
circolano da qualche tempo, in parte alimentate da lui stesso. In
un’intervista alla rivista «Esquire» il mese scorso, aveva detto di
essere ancora molto appassionato alla politica attiva e di sentirsi
«motivato», e non aveva escluso un ritorno. «È una questione aperta»,
aveva detto. E, in un articolo nel giornale pro-Ue «New European», aveva
invitato gli oppositori della Brexit a «organizzarsi e mobilitarsi»
dicendo: «Siamo noi i ribelli adesso».
Nel ragionamento di Blair, i
problemi sono due: da una parte un governo Tory votato alla «hard
Brexit», il taglio netto con Bruxelles e l’uscita dal mercato unico;
dall’altra un Labour che con Corbyn ha voltato le spalle al centro per
una svolta a sinistra che secondo lui condanna il partito alla
sconfitta. Un’alternativa, ha detto Blair, che è «francamente una
tragedia per la politica britannica». Dunque la sua, se davvero
rientrerà in politica, sarà una battaglia per un’uscita soft, e magari
addirittura un secondo referendum, e a difesa della sua idea di Labour
come forza di centro e riformista.
Anche nelle circostanze
straordinarie che il Paese sta vivendo, una resurrezione politica di
Blair resta molto difficile: è inviso a gran parte dei britannici per la
guerra in Iraq (per cui è stato anche duramente criticato nel luglio
scorso dalla commissione d’inchiesta Chilcot), e per le consulenze
miliardarie fatte in giro per il mondo da quando è finita la sua
premiership nel 2007. Che un ritorno di Blair sia o meno fantapolitica,
il partito dovrà prima o poi fare i conti con l’unico laburista capace
di vincere tre elezioni di fila. Recentemente l’analista Jonathan
Freedland ha scritto sul «Guardian»: «Il compito del Labour è di
eliminare ciò che era sbagliato, anche moralmente sbagliato; rottamare
quanto è ormai datato; ma guardare in maniera fredda e lucida
all’eredità di Blair».