La Stampa 21.11.16
Marino: “Votare Sì è un favore a Grillo”
Per
l’ex sindaco di Roma “il successo della consultazione voluta dal
premier farà volare i populisti mentre il No li fermerà. Basta
propaganda Pd”
Il premier rischia di consegnare l’Italia alla Casaleggio
L’ex sindaco: “La vittoria del Sì farebbe volare il populismo. Il No lo può fermare”
Io con Grillo? No, io sto con Libera di don Ciotti, i partigiani, la Cgil, i migliori costituzionalisti
Il centrosinistra deve tornare una forza che unisce e non il comitato propagandistico che è diventato
Un
successo del No genererebbe instabilità? Quando si demolisce un
ecomostro, si alza un po’ di polvere. Ma poi si torna a vedere
l’orizzonte
intervista di Giuseppe Salvaggiulo
«Il
referendum, convocato per riscuotere un plebiscito, ora fa paura. E si
cerca di manipolare l’opinione pubblica con le peggiori tecniche. Da un
lato la legge di stabilità che a colpi di bonus e marchette lobbistiche
diventa il grande mercimonio della Repubblica. Dall’altro l’evocazione
di apocalissi finanziarie connesse al referendum. Tutto si tiene,
scivolando pericolosamente su un crinale antidemocratico. Mi viene in
mente Gramsci, il sovversivismo delle classi dirigenti». Da un mese
Ignazio Marino, incassata la piena assoluzione, perché il fatto non
sussiste, nel processo sulle spese di rappresentanza effettuate quando
era sindaco di Roma, gira l’Italia in treno. Duemila chilometri da solo,
per raccontare della sua vicenda politica e umana ricostruita nel libro
“Un marziano a Roma” (Feltrinelli, 2016) e sostenere le ragioni del No
al referendum. «Non è revanscismo, il mio. Guardo avanti. Voglio solo
che tutti sappiano che c’è un filo conduttore, che parte da Roma un anno
fa e arriva oggi in ogni angolo d’Italia».
Qual è la sua lettura?
«Tutta
questa stagione è dominata dallo stesso sprezzo della democrazia e del
valore costituzionale della sovranità popolare. La volontà renziana
spazzò via la mia giunta di sinistra consegnando Roma al Movimento 5
Stelle. Ora rischia di consegnare l’Italia a Grillo. Anzi, alla
Casaleggio Associati».
Renzi dice che la vittoria del Sì sarebbe un argine ai populisti.
«E’
vero il contrario. Se passasse questo forzato stravolgimento di 47
articoli della Costituzione Repubblicana, consegneremmo a chi detiene il
potere esecutivo, il governo, un potere mai visto prima. E con il mondo
che vira pericolosamente verso la deriva populista, questo è un azzardo
che non possiamo permetterci. E’ il tempo di coltivare limiti e
contrappesi, non la democrazia d’investitura».
Qual è lo scenario più probabile in caso di vittoria del Sì?
«La vittoria elettorale di Grillo, come dimostrato dalle ultime amministrative e dai sondaggi».
E in caso di vittoria del No ci saranno contraccolpi in termini di instabilità?
«Quando si demolisce un ecomostro, si alza un po’ di polvere. Ma poi si torna a vedere l’orizzonte».
Non pensa che senza Renzi il Movimento 5 Stelle sarebbe già al governo?
«Renzi
ha pensato che avrebbe disinnescato Grillo. Invece rincorrerlo sul
terreno del populismo è stato un errore strategico. Anziché porsi come
alternativa all’avversario ha pensato di imitarlo, aprendogli la strada.
L’originale ha sempre più appeal della copia».
Ma la vittoria del No rinforzerebbe ulteriormente Grillo. E riporterebbe il Pd nel caos.
«Non
è detto. Cancellerebbe in un colpo una pessima revisione costituzionale
e una pessima legge elettorale. So bene che anche la vittoria del No ci
metterebbe di fronte a un percorso di ricostruzione. Ma con più
speranze di poter ricostruire in condizioni di sicurezza costituzionale.
La Costituzione non deve dividerci ma unirci».
Come?
«Tutti
i riformisti, che non si riconoscono nel messaggio populista ma nemmeno
nella sbrigativa e arrogante semplificazione renziana, dovranno
riflettere e ritrovarsi».
Una chiamata alle armi per la minoranza del Pd?
«Il
Pd non basta più, figuriamoci la minoranza. Non penso solo al Pd, ma a
tutto il centrosinistra, in questi anni devastato dalla spinta
centrifuga. Ci sono energie eccezionali ma disordinate. Occorre mettere
fine a questa diaspora, superare la parentesi renzista, recidere i gigli
magici e fare una nuova semina. Insieme. Un collettivo, non un uomo
solo».
Lei dice che Renzi fa il gioco di Grillo, ma in realtà nel
fronte del no è lei che sta con Grillo. E con Salvini, Brunetta, Meloni.
«Io
sto con chi crede nella sovranità popolare, con Libera di don Ciotti,
con i partigiani, con la Cgil, con i nostri migliori costituzionalisti.
Ma vede, questo è l’altro “capolavoro” di Renzi: a forza di prendere il
mondo a sportellate si è messo contro quasi tutti. E quando si parla di
riforme costituzionali, che sono le regole comuni, isolarsi è peggio di
un crimine: è un errore strategico».
Nel Pd la vittoria del No sarebbe la vittoria di D’Alema e Bersani, la vecchia politica che si prende la rivincita?
«Trovo
grottesco e patetico che chi ha malamente personalizzato il Sì ora
voglia velenosamente personalizzare il No. La vittoria del No sarebbe
innanzitutto la vittoria del buonsenso, contro una riforma sbagliata
della Costituzione. D’Alema e Bersani non sono candidati, così come non
lo sono io. Siamo impegnati nel difendere la democrazia».
Comunque vada, ci sarà presto un congresso del Pd. Lei che farà?
«Io
credo ancora molto nel centrosinistra come unico argine possibile alle
spinte anti-sistema. Deve riprendersi dal trauma di questi anni, tornare
a essere una forza che unisce e non il comitato propagandistico che ha
lacerato la nostra identità a colpi di tweet. Forse siamo ancora in
tempo».
Non è che nel Pd si rivede la Ditta, il sistema di potere
degli ex comunisti? E lei come la mette, visto che nel 2009 si candidò
contro?
«Oggi è il tempo di liberarsi della sottomarca che ha
sostituito la cosiddetta Ditta di Bersani. E di costruire insieme il
futuro».