La Stampa 20.11.16
Il populismo e la stagione degli eccessi
Il
populismo di conio nostrano compare in modo diverso nelle parti in
lotta per il referendum e ci fa regredire nell’età delle peggiori
ideologie, che è stata frettolosamente dichiarata finita
di Gian Enrico Rusconi
Non
ci sono più partiti ma fazioni, che con gli slogan ripetuti come
giaculatorie nel circuito mediatico ai vari livelli, gli spot di 30
secondi ai tg, i finti dibattiti dei talk show segnalano un ritorno alle
sedi ideologiche della peggior specie. Di qua la democrazia, di là una
oligarchia prepotente si assicura. Di qua l’accusa di scempio della
buona vecchia Costituzione, di là l’assicurazione del suo
perfezionamento sempre atteso; di qua il popolo, di là la casta.
Sottoprodotto inatteso di questi contrasti è l’iper esposizione della
persona di Matteo Renzi. Ne uscirà comunque danneggiato.
Nella
tempesta che investe il nostro sistema politico c’è un relitto: la
parola e l’atteggiamento «laico». Nel nostro linguaggio può avere due
significati. Da una parte indica il comportamento, ampiamente
minoritario, di chi pur mantenendo pieno rispetto per la religione di
chiesa (condizionata dall’istituzione ecclesiastica), la critica.
Denuncia la sistematica elusione di diritti civili che sono ineludibili
in una società democratica che si vuole e si dice laica. Ma c’è una
seconda accezione traslata di «laico». È quella di chi, convinto delle
proprie certezze e rispettoso di quelle degli altri, ritiene che in una
democrazia nessuno possiede la soluzione ultima e definitiva dei
problemi. Tanto meno dichiara che chi la rifiuta è nemico della
democrazia.
Atteggiamento «laico» è quello criticamente (e
autocriticamente) attento al valore in sé del dibattito civile tra i
cittadini. Compresi i limiti di espressione e di giudizio che dovrebbero
essere rispettati. «Laico» è chi si permette di denunciare il pericolo
di degenerazioni settarie ideologiche, come quelle che si profilano oggi
nel dibattito sul referendum.
Che la vittoria di Donald Trump,
diventata inaspettatamente riferimento positivo per i populismi settari,
sia imputabile proprio al cinico disprezzo dei limiti espressivi appare
ai nostrani velleitari suoi imitatori il segreto della vittoria. Ma ho i
miei dubbi che sia così davanti alla qualità e alle dimensioni
dell’astensionismo nel nostro Paese.
Spostiamo il discorso su «i
cattolici». Uso qui le virgolette per indicare i credenti così chiamati
nel linguaggio convenzionale che parla di «laici e cattolici». Ebbene
oggi i «cattolici» sembrano latitanti nel duro dibattito in corso.
Sembrano spiazzati. Forse perché ritengono che nel referendum non siano
in gioco i così detti «valori non negoziabili»?
È singolare che i
cattolici, sempre così attenti a dire la loro su tutto, oggi sul
contrasto più brutale della Repubblica non diano segni di una scelta
chiara. Sono divisi anch’essi tra i due raggruppamenti? Eppure tra il No
c’è chi non si limita a «voler mandare a casa Renzi», ma anticipa
apertamente misure antimigranti diametralmente in contrasto con le
raccomandazioni di Papa Francesco. E sull’Europa, sempre nel campo dei
No, ci sono esplicite ostilità contro l’Unione Europea, con grandi
confusioni e ambiguità (soprattutto nel movimento di Grillo) che sono
agli antipodi della cultura cattolica tradizionale. Insomma la latitanza
dei cattolici è un segnale molto serio di confusione.
Sarà una
brutta giornata se il 5 dicembre il raggruppamento vincente si esalterà
oltre misura per una vittoria ottenuta verosimilmente con un modesto
margine sull’avversario. E se chiederà una resa senza condizioni del
nemico. Il tutto potrebbe avvenire davanti ad una platea mediatica
rappresentata da un cospicuo numero di astenuti, estraniati in queste
settimane non da un generico disinteresse per la posta in gioco. Ma
perché sono zittiti, sconcertati se non disgustati dalla violenza
verbale degli argomenti messi in campo, assolutamente sproporzionati ai
termini reali della questione. Non so se un soprassalto di laicità nel
senso detto sopra potrà porvi rimedio.