La Stampa 20.11.16
La legge c’è, ma non viene usata: così i rifugiati restano senza lavoro
Il
permesso di soggiorno consente ai richiedenti asilo di trovare
un’occupazione Ma i numerosi progetti di inserimento sono al palo e solo
in duemila ce l’hanno fatta
di Karima Moual
Le
lancette dell’orologio girano all’infinito, così come le decine di
rifugiati che popolano piazza di Porta Capuana a Napoli. Loro si
spostano da un marciapiede all’altro, consapevoli di non poter produrre
granché dal proprio tempo.
Sono lì, spaesati, immobili, quasi come
in un limbo. È la condizione in cui si trovano a vivere ancora molti
richiedenti asilo che approdano in Italia.
Una situazione che ha
acceso non poche polemiche sul perché questo potenziale umano - peraltro
sempre in aumento - debba rimanere congelato e non introdotto nel mondo
del lavoro. Secondo i dati del Ministero dell’Interno solo nei primi
nove mesi di quest’anno sono state 84.969 le richieste d’asilo
presentate nel nostro Paese. Un dato che si accompagna ad un altro: gli
sbarchi di questo 2016 sono stati 167.148 . Ben 16,4% in più rispetto
allo stesso periodo del 2015, e le previsioni sul futuro non fotografano
una diminuzione del fenomeno facendo crescere insistentemente una
domanda: a che punto è l’inserimento nel mondo del lavoro?
In
teoria grazie al decreto legislativo 142/2015, gli ostacoli per
l’occupazione dei rifugiati non dovrebbero più sussistere: trascorsi 60
giorni con il permesso di soggiorno provvisorio, si potrebbero aprire le
porte della legalità così come ha auspicato più volte anche dall’Unione
europea. Nella pratica il processo è tutt’altro che facile. Nell’ultimo
anno l’Italia ci ha provato: soprattutto grazie alle iniziative
promosse attraverso il Sistema di protezione per richiedenti asilo e
rifugiati (Sprar ndr) che ha, infatti, al suo interno progetti di
inserimento socio-economico.
L’ordinamento italiano riconosce ai
richiedenti protezione internazionale la possibilità di seguire corsi di
formazione professionale che, eventualmente, possono anche essere
realizzati dall’ente locale titolare del progetto di accoglienza. Ma c’è
anche l’iniziativa «Inside» del Ministero del Lavoro, che ha erogato
proprio quest’anno quasi 700 borse di tirocinio per i richiedenti asilo e
protezione ospitati negli Sprar. E «Percorsi» diretto invece
all’inserimento socio-economico dei minori non accompagnati. C’è poi il
protocollo d’intesa tra Confindustria e il Ministero dell’Interno
siglato solo a fine giugno, al fine di sensibilizzare le imprese e
aprire le porte a formazione e tirocini ai richiedenti asilo. E infine
il progetto «Welcome. Working for refugee integration» dell’Unhcr con il
patrocinio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il
sostegno di Confindustria, che consiste nell’assegnazione di un
riconoscimento alle aziende che agiscono concretamente per favorire i
processi di integrazione dei rifugiati e dei richiedenti asilo nel mondo
del lavoro. Insomma, una macchina in movimento che dovrebbe già
produrre qualche numero più preciso sull’andamento. Ad oggi, invece,
avere dati certi sui richiedenti inseriti nel mondo del lavoro non è
semplice. Qualcosa inizia ad emergere solo dall’ultimo rapporto Sprar:
«Malgrado la difficile congiuntura economica che persiste e influisce
molto sulle opportunità lavorative dei beneficiari - si spiega - nel
2015 sono stati 1.972 gli inserimenti lavorativi registrati».
L’inserimento
ha riguardato soprattutto il settore della ristorazione e del turismo, a
cui seguono i settori dell’agricoltura e della pesca. Vista la portata
dei numeri, però, risulta davvero poca cosa. E a confermarlo sono gli
esisti anche delle altre iniziative. Il protocollo d’intesa tra
Confindustria e Ministero dell’Interno per l’inserimento al lavoro dei
rifugiati partendo da tirocini nelle imprese a quattro mesi dal suo
lancio non ha ancora prodotto nulla. Zero è infatti il numero di
rifugiati che sono riusciti a partecipare all’iniziativa nonostante la
forte promozione e i buoni intenti.
Il progetto «Welcome. Working
for refugee integration» dell’Unhcr con il patrocinio del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali e il sostegno di Confindustria, è
ancora uno slogan, una storia senza lieto fine. Siamo appena partiti -
dicono un po’ tutti in coro - bisogna aspettare ancora per vedere
l’effetto dei progetti e delle iniziative. Sicuramente ci vorrà tempo,
ma intanto il numero delle persone all’interno delle varie strutture in
Italia è imponente. E c’è chi ha fiutato l’affare ingrossando le fila
del lavoro nero e del caporalato.