La Stampa 20.11.16
“Cacceremo i jihadisti da Mosul
e ridisegneremo il Medio Oriente”
Il leader dei peshmerga: “Come dopo la I Guerra mondiale i confini vanno ritracciati, lotteremo per il nostro Stato”
di Gio. Sta.
«Dopo
la battaglia di Mosul ci troveremo nella stessa situazione di un secolo
fa, quando è finita la Prima guerra mondiale e sono stati ridisegnati i
confini del Medio Oriente. Nessuno può illudersi che tutto tornerà come
prima, che l’Iraq resti un Paese unito». Ari M. Harsin è il
coordinatore del comitato parlamentare dei peshmerga. In pratica il
«commissario politico» delle forze armate del Kurdistan iracheno. Ex
colonnello dell’artiglieria, fedelissimo del presidente Massoud Barzani.
Ha rimesso la mimetica per partecipare alle ultime fasi della battaglia
per la liberazione di Bashiqa, la scorsa settimana. Una vittoria
strategica. Non solo per la campagna di Mosul. Anche per il nuovo
Kurdistan che sta emergendo.
Che cosa cambierà con la battaglia di Mosul per l’Iraq e per il Kurdistan? Sta procedendo secondo i piani?
«Quali
piani? Non c’è nulla di pianificato. Ovviamente ringraziamo i nostri
alleati, Italia compresa, per l’aiuto e l’addestramento alle nostre
truppe. Ma non ci sono piani né per la battaglia né per il dopo. Le cose
stanno andando bene ma Mosul porterà molte sorprese, in tutti i campi.
Non possiamo prevedere quanto durerà la battaglia. Dipende molto dai
rapporti fra le varie parti delle coalizione. Prima di tutto quelle fra
gli Stati Uniti e la Turchia. Ma di certo la fine della battaglia
segnerà la fine dell’Iraq».
Perché? Non c’è spazio per un Iraq federale, con una grande autonomia per il Kurdistan, come ora?
«Premetto
che un conto è quello che si desidera, un conto è la realtà. Ma dal
nostro punto di vista la fine della battaglia di Mosul coinciderà con la
fine dello Stato iracheno, a livello geografico e politico. Ci vedo
molte similitudini con la situazione alla fine della Prima guerra
mondiale, quando cambiarono tutti i confini del Medio Oriente. Siamo
convinti che ora esistano tutte le condizioni per una piena indipendenza
del Kurdistan. Bisogna prepararsi a negoziare e lottare affinché queste
condizioni si trasformino in realtà. Con l’aiuto dell’Onu, l’Ue, gli
Stati Uniti, la Russia, dei nostri vicini, come l’Iran. Credo comunque
che siamo in una situazione favorevole come non mai».
La Turchia potrà mai accettare un passo del genere?
«Il
Krg ha buone relazioni con la Turchia. E la Turchia riceve grandi
benefici da queste relazioni, con scambi commerciali valutati in 10
miliardi all’anno. Ma il governo turco ha grandi problemi con il popolo
curdo nel sud del Paese, e con la guerriglia del Pkk. Proprio per questo
non ha grande interesse a bloccare il nostro processo verso
l’indipendenza: allenterà le loro tensioni interne. E lo stesso vale per
l’Iran. Un Kurdistan indipendente sarà un fatto di stabilità per i
nostri vicini e porterà vantaggi economici e politici».
Come pensate di riuscire a realizzare il vostro sogno?
«Le
racconto una cosa. Io sono un ufficiale di artiglieria. Due anni e
mezzo fa, quando l’Isis ha preso Mosul, non avevamo niente. Cannoni,
armi pesanti. Niente. Pochi mortai leggeri. Abbiamo dovuto aprire
vecchie casse di munizioni, le uniche a disposizione. Sa quale era la
data? 1956. Erano state inviate dagli americani, avanzi della guerra di
Corea. Ora abbiamo un esercito. Già questo è un enorme passo avanti. Il
resto verrà».
Come vede l’elezione di Donald Trump? Vi avvantaggerà e o vi danneggerà?
«Rispettiamo
la scelta del popolo americano. Detto questo, con i terribili problemi
che affronta il Medio Oriente c’è bisogno di un uomo forte alla Casa
Bianca. Prima di tutto per continuare la lotta contro questa barbara
organizzazione terroristica chiamata Isis. Per questo è importante
liberare Mosul e Raqqa. Mosul è come la madre, Raqqa come il figlio.
Sono legate dal cordone ombelicale. È giusto attaccarle allo stesso
momento. Per il resto non credo che la politica americana cambierà
molto. Un conto è la campagna elettorale, un conto governare il
mondo».[gio. sta.]