La Stampa 20.11.16
Quando il Rinascimento riscoprì la magia della parola
Un volume dei Millenni Einaudi dedicato agli Umanisti Italiani
Da Marsilio Ficino a Machiavelli, la filologia si fa filosofia e teologia
di Ernesto Ferrero
Tra
le preoccupazioni che Italo Calvino si portava dietro negli ultimi
tempi e che trovano un puntuale riscontro nelle Lezioni americane, c’è
quella per la deriva del linguaggio, anzi, per la peste che sembra
averlo colpito. Un uso del linguaggio sciatto, impreciso, banale, in
definitiva furbesco, truffaldino e corruttore, specchio fedele di una
crisi di civiltà. Le patologie del linguaggio sono spia delle malattie
morali che svuotano dall’interno le società. Scienza troppo austera e
rigorosa, la filologia non è mai stata popolare da noi, e fa impressione
ritrovarla come chiave di volta della corposa antologia dedicata dai
«Millenni» Einaudi agli Umanisti italiani per le cure impeccabili di
Raphael Ebgi (pp. VI-556 con 16 tavole f.t., € 85). L’intenso, ipnotico
saggio introduttivo di Massimo Cacciari è un libro nel libro, dal titolo
perentorio: Ripensare l’Umanesimo, non come un armonioso Eden di grandi
spiriti, ma come dibattito tormentato che affronta di petto i tempi
drammatici in cui vive per guardare oltre, utilizzando la classicità per
pensare un nuovo modello di società civile.
Filologia creativa
Filologia
non come arida pedanteria incapace di intendere la bellezza artistica,
ma amore per ogni forma di Logos, per la parola limpida, concreta,
pragmatica che è tipica del latino, capace di significare con precisione
e di parlare a tutti. La primazia che l’Umanesimo riserva alla
filologia non è comodo rifugio in un passato estinto, ma il fondamento
di un preciso progetto politico, prima ancora che culturale. Per Lorenzo
Valla la pietas per il passato, il delicato lavoro di restauro della
parola che fonda la vera conoscenza è un sentimento vuoto se non
orientato su un futuro da inventare proprio perché si presenta
drammatico. La filologia deve nutrire l’immaginazione, diventare forza
creativa.
Le lettere, i trattatelli, i dialoghi di Petrarca,
Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Lorenzo Valla, Leon Battista
Alberti, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Leonardo, Savonarola,
Machiavelli vivono della tensione tra presagi apocalittici, aspirazione
all’armonia e alla bellezza e una teologia che non spenga la sete di
conoscenza, ma anzi faccia sua la forza rabdomantica con cui scienza,
arte e poesia interrogano il mistero, sfidano l’indicibile.
La
prima sezione dell’antologia si intitola Umanesimo tragico e documenta
una consapevolezza della fragilità umana mai così acuta e angosciosa.
Accanto ai pericoli delle malattie, Alberti cataloga la fatica di
crescere, il sadismo dei pedagoghi, l’instabilità creata dalle emozioni,
i capricci della Fortuna, le nostre stesse smanie di possesso, spesso
distruttive. Lupi gli uni agli altri, frastornati dai ciarlatani, gli
uomini non possono trovar balsami per le proprie ferite, ma sono
obbligati a conoscerle. Il sapere che nasce dalla sofferenza segna il
più alto grado di virtù, e produce anche la sana voluttà d’ogni attività
di ricerca.
I nuovi antichi
Per diventare incisiva, la
speculazione filosofica deve dunque fondarsi sul rigore della parola.
Figure distinte, filologia, filosofia e teologia sono chiamate a
integrarsi, a dialogare, a progettare una nuova pedagogia civile, nemica
dell’astrazione, tutta volta ad arrivare al cuore delle cose. Il nesso
profondo che le unisce è già in Dante, ma vale anche per l’architettura e
per le scienze applicate. Le opere degli antichi, dice Alberti, non
devono essere oggetto di ammirazione sentimentale, ma studiate
accuratamente in ogni dettaglio. Non sono un modello statico da imitare.
Osservare Roma significa capire come i romani risolvevano i loro
problemi, cavarne un metodo per risolvere i nostri, essere capaci di
elaborare forme nuove che a loro volta possano fondare una tradizione. A
salvarci non basta l’autorità dei classici. Occorre praticare
l’osservazione instancabile della realtà e dei suoi prodigi. Leonardo
non condivideva gli slanci metafisici dei neoplatonici fiorentini, ma
restava contagiato dalla loro ammirazione per le meraviglie del creato,
per il numinoso che in quelle è cifrato.
Pensiero e azione
Bisogna
elaborare un mix coerente di pensiero e azione. I nodi da sciogliere
sono molti: il rapporto tra Aristotele, Platone e la rivelazione, tra
libero arbitrio e volontà divina, tra vita contemplativa e vita attiva;
il ruolo del sapiente alle prese con una creazione perpetuamente in
progress; il problema della traducibilità delle tante lingue in cui le
civiltà si esprimono; la liberazione spirituale che si può attuare
attraverso la conoscenza, come prescrivevano i fascinosi testi ermetici
tradotti da Marsilio Ficino. Non sono discorsi riservati agli
specialisti o agli storici. Il rapporto con la tradizione, la necessità
di basare ogni progetto di rifondazione su una rivisitazione del canone,
sono uno di quei passaggi che ogni generazione è chiamata ad
affrontare, se vuole restare padrona del proprio destino. Nessuno lo ha
interpretato meglio degli umanisti italiani.