La Stampa 19.11.16
Espressionismo astratto, così l’avanguardia si fa americana
Alla
Royal Academy di Londra una grande rassegna sul movimento che nel
dopoguerra spostò il baricentro dell’arte da Parigi a New York
di Fiorella Minervino
Sale
e saloni alla Royal Academy illustrano con 150 dipinti, sculture, foto,
l’Espressionismo Astratto, il movimento americano che si impose al
mondo dopo la seconda guerra mondiale. Un gruppo di artisti, assai
composito per ricerche e linguaggi (alcuni erano approdati dall’Europa),
ma ghiotto di avanguardie precedenti, sfila in una poderosa rassegna,
forse fin troppo vasta. I curatori David Anfam e Susan Davidson ne
spiegano il significato: riproporre dopo 60 anni in Gran Bretagna questa
generazione, ma con un occhio del XXI secolo. Stanza dopo stanza si
visitano e rivedono alcuni capolavori dei più famosi Pollock, Rothko, De
Kooning, Kline, Newman, Motherwell, Gotlieb, ciascuno con una
monografica, ma non mancano i meno conosciuti, Pousset-Dart piuttosto
che Jack Tworiov e altri.
L’impressione è di sfogliare un libro di
storia dell’arte, senza eccessivi voli di fantasia, ma con opere in
arrivo dai maggiori musei e da collezioni private, MoMa e Metropolitan
compresi. Vale la pena ricordare come quel drappello di giovani cambiò
la geografia dell’universo mondiale. Per la prima volta, dopo oltre un
secolo, Parigi veniva spodestata da New York con una vittoria destinata a
consolidarsi dagli Anni 50 del ’900 in poi, Pop Art e Minimal a
dimostrarlo. D’altronde l’America procedeva in vorticosa crescita,
questa generazione voleva superare i troppo «cerebrali» europei. Più che
la cubismo guardava al Surrealismo per la ricerca interiore e
l’automatismo, ma soprattutto era interessata all’Espressionismo per la
violenza del gesto, rivisitandolo con il linguaggio dell’Informale.
Inoltre
esprimevano già il disagio verso i nuovi miti di massa e le
disuguaglianze sociali, persuasi di inaugurare inediti modi di fare
arte. Pollock ad esempio scriveva: «La cosa importante è che Cliff
Still, Rothko e io abbiamo cambiato la natura della pittura». Ed erano
più o meno contemporanei ai poeti della Beat Generation e al free Jazz.
Un’avventura nel segno del gesto istintivo, della libertà, delle vaste
dimensioni e superfici piatte, ma avida di miti universali, di cultura
dei nativi americani e di natura sconfinata. Bastano le memorabili sale
dell’armeno Gorky o di Pollock come di Kline, a testimoniare qualità,
potenza materica, dinamismo, vibranti pennellate di colore puro, ma
anche la nuova attenzione riservata all’osservatore.
L’Espressionismo
astratto fu fenomeno dalle svariate anime, che in certi casi si
incrociavano o si assommavano. Il colossale Mural 1943, di Pollock
(Università dello Iowa) commissionato per l’appartamento di Peggy
Guggenheim, qui a confronto con Blue Poles 1952, testimonia l’energia,
la tensione emotiva e la partecipazione diretta (fin con la traccia del
suo corpo al centro del dipinto), oltre l’incredibile qualità materica.
Per l’Italia non è certo una novità l’indimenticabile murale, è già
stato esposto alla Guggenheim a Venezia. Poco dopo vale la pena sostare
nella sala centrale per ammirare sette sublimi, enormi Rothko: una pura
sinfonia di colori che scandiscono i diversi sentimenti umani. Una
stanza è riservata anche alla West Coast, dove Tobey , Sam Francis,
White, si succedono in composizioni spettacolari. Numerose sono le
sculture totemiche di David Smith, distribuite con cadenza ripetitiva al
centro di ogni spazio.
A sorprendere è Clifford Still, artista
della West Coast, ma vero outsider, vorace divoratore di storia
dell’arte, de Chirico compreso, che nella verticalità rintracciò la
tendenza alla trascendenza spirituale, un passo dopo Kandinsky: le sue
nove tele, come PH-950 1950, sembrano fiamme che ardono verso il cielo e
provengono dal Clifford Still Museum di Denver. Suggestive le
fotografie, quando fissano i protagonisti, come Namouth con Pollock al
lavoro, ma ancor più quando documentano ricerche parallele alla pittura,
ad esempio quella di rendere visibili i sentimenti umani più profondi
con ideogrammi astratti, cui si impegnano Callaghan, Mili, Matter o la
ingegnosa Barbara Morgan.
L’Espressionismo Astratto fu un
movimento marcatamente maschile, ma De Kooning cantò di continuo le
donne, ne scompose e ricompose le carni, il corpo, in geometrie audaci.
Ne risultano mostri colorati, fantasmi come metafore d’una disperata
condizione umana. Non mancano però le pioniere, come Lee Krashner
consigliera e moglie del nevrotico, forse suicida Jackson Pollock , qui
con la sterminata tela L’occhio è il primo cerchio, ma non sono da meno
le turbolente composizioni di Joan Mitchell o quelle di Helen
Frankenthaler. Per non parlare di straordinarie galleriste e
collezioniste come Peggy Guggenheim e Betty Parsons. Il meno persuasivo è
l’ultimo capitolo, Late works, Anni 70, quando Pop e Concettuali si
erano già divorati il movimento e i suoi eroi (catalogo ed. Royal
Academy).