La Stampa 18.11.16
Referendum, il No avanti di 8 punti
L’ultimo sondaggio prima del silenzio
L’ultima caccia agli indecisi
di Federico Geremicca
L’ultima
fotografia legalmente possibile degli umori del Paese alla vigilia del
referendum immortala un elettorato ormai sfinito che marcia verso il
voto del 4 dicembre con le idee, però, non ancora del tutto chiare.
Secondo la rilevazione dell’Istituto Piepoli (14 novembre) l’esercito
degli indecisi rappresenterebbe tutt’oggi un quarto del totale: ed è
proprio questo 25% o giù di lì di cittadini incerti ad esser ormai
diventato l’ultimo territorio di caccia grossa per i sostenitori del Sì,
costretti ad un finale di campagna che forse non immaginavano.
Certo,
dopo la débâcle americana - che ha rinverdito altri fiaschi clamorosi: a
partire dal voto europeo del 2014 - sondaggi e sondaggisti sono stati
investiti da commenti ironici o apertamente sarcastici. Eppure un filo
comune lega la miriade di rilevazioni effettuate dall’avvio della
campagna ad oggi: partito in vantaggio (56 a 44, per Piepoli) il Sì ora
si trova a dover inseguire (46 a 54). E se gli indecisi sono via via
diminuiti, restano in numero ancora così alto da non far dormire sonni
tranquilli ai sostenitori del No.
È per questo che la bussola di
Matteo Renzi è ormai decisamente orientata in quella direzione. Ed è per
questo - per la conquista del voto degli indecisi - che si sentono e si
continueranno a sentire tesi, argomenti e lettura dei fatti talvolta
realmente sorprendenti.
L’ultimo in ordine di tempo, è la sorta di
appello rivolto in queste ore dal premier-segretario alla cosiddetta
«maggioranza silenziosa». Uno scandalo, secondo alcuni; mentre altri
considerano quel richiamo poco più che un approdo inevitabile,
considerati i tempi e l’aria che tira in giro per il mondo.
Alla
«maggioranza silenziosa», fece appello per primo Richard Nixon, facendo
di quella entità - dunque - una «cosa di destra» nel senso comune.
Sepolta nel corso degli anni, è stata ora rispolverata da Trump nella
sua trionfale campagna: The silent majority is back and we’re going to
take our country back (la maggioranza silenziosa è tornata e stiamo per
riprenderci il Paese). Renzi l’ha evocata in questi giorni per la prima
volta: ed il suo riferimento non stona con una linea che, fin da prima
del referendum, è stata sempre attentissima - anche attraverso
semplificazioni talvolta discutibili - a cogliere umori e consensi
dell’elettorato di centrodestra.
Un mix di liberalismo in economia
e di populismo in politica che Eugenio Scalfari - al suo manifestarsi -
definì «populismo democratico»: e oggi si coglie appieno la fondatezza
di quella definizione. Il punto che resta da definire è se questo
«populismo democratico» sia davvero il male minore di fronte al dilagare
di populismi assai meno democratici o se il rilancio di una politica di
sinistra-sinistra sia un antidoto migliore: se si guarda al voto
americano e alla condizione nella quale versano - dalla Gran Bretagna
alla Francia, dalla Spagna alla Grecia - i laburismi e i socialismi
europei, qualche dubbio è lecito.
Anche per questo, in fondo, il
referendum del 4 dicembre e l’incertezza che lo circonda può esser
considerato da Renzi una sorta di prova generale delle elezioni
politiche che verranno. Nello scontro col fronte del No, infatti, il
premier sta come sperimentando un ampliamento dello spettro delle
risposte possibili ai problemi sul tappeto. E cosi, alle soluzioni
classiche patrimonio della sinistra (e di scarso successo, in giro per
l’Europa), sta accompagnando suggestioni e temi cari all’elettorato
moderato: e cioe, all’imperscrutabile «maggioranza silenziosa». Fra tre
settimane il verdetto: che riguarderà certo il referendum, ma potrà
riverberare effetti anche molto più in là.