La Stampa 17.11.16
L’effetto Trump incombe sull’Europa
di Stefano Stefanini
Dopo
l’America tocca all’Europa. Il 2017 è anno di elezioni. In Francia si
candida un outsider; corre senza partito. In Germania il vice presidente
della Cdu anticipa che Angela Merkel si ripresenterà per il quarto
mandato «per rafforzare l’ordine liberale internazionale». La presidenza
Trump in arrivo sta già cambiando i giochi politici europei. Con
l’esempio e con la necessità di rispondere.
La candidatura di
Emmanuel Macron all’Eliseo avrebbe dovuto trovar preparati candidati che
già si affollavano sulla linea di partenza (Hollande, Juppé, Le Pen,
Sarkozy, forse Valls). Invece no. Sono costretti a rifare i conti. Oggi
un concorrente senza partito e senza grande esperienza in politica va
temuto proprio perché non le ha. Trump docet.
Macron non ha
l’intenzione di collocarsi nello spazio politico del nuovo presidente,
ma di contrastarlo. In Francia è Marine Le Pen a vestire il manto
trumpiano. Lo indossava ben prima del voto; ora cavalca l’onda della
vittoria. Il sillogismo se Trump vince in America, Le Pen può vincere in
Francia resta valido.
La lezione americana è un’altra. Donald
Trump ha dimostrato che si può vincere con un’organizzazione
improvvisata, con meno risorse finanziarie degli avversari, ignorando la
discriminante tradizionale destra-sinistra, fuori dai partiti. Quello
repubblicano l’ha osteggiato fino a che ha potuto e l’ha snobbato in
campagna, fino a ritrovarselo Presidente.
Sette mesi fa, ancora al
governo, il precoce allievo francese aveva creato «En Marche». Non una
base all’interno del partito socialista. Per catturare un comprensorio
più ampio serve un «movimento». E’ la stessa parola usata,
ripetutamente, dal Presidente americano eletto. Non sconosciuta in
Italia… Segnala la scelta di far politica uscendo dal seminato
partitico.
L’ex ministro dell’Economia fa appello a un bacino
centrista e qui i sentieri si separano drasticamente. Non c’è nulla
d’istrionico o populista in Macron. Ha troppo buon senso per eccitare le
folle: potrebbe essere la sua debolezza elettorale. Con l’eccezione di
Giscard d’Estaing, chi parte dal centro non è mai riuscito a scalzare il
duopolio di potere francese Ump-socialisti. Oggi però scricchiola. La
scommessa di Macron, che ha presentato la candidatura a Bobigny nella
cintura industriale di Parigi, nel cuore dello scontento di sinistra
attirato adesso da Fronte Nazionale, è di appropriarsi anche di una
fascia anti-establishment con un messaggio di giustizia sociale.
La
scommessa è azzardata. Alle probabilità di Macron di arrivare
all’Eliseo penseranno i sondaggi (a cui credere o meno); il buon indice
di popolarità con cui parte (38%) vuol dire poco (certamente meglio del
4% del Presidente in carica). Fatto sta che la sua candidatura
rivoluziona la corsa perché può sottrarre consensi a tutti: alla casa
madre socialista già in difficoltà; a Alain Juppé col quale concorre per
il centro; persino a Marine Le Pen se riporta a casa qualche scontento
di sinistra. Le speranze di Sarkozy nelle primarie sono rilanciate. Il
finale Juppé-Le Pen è meno scontato.
L’onda Trump e Farage, padre
di Brexit, è in arrivo sul continente. E’ un modo diverso di far
politica, scavalcando le strutture e cercando il filo diretto con gli
umori del pubblico. I partiti tradizionali non li controllano; sono i
social media a interpretarli e amplificarli. Le avvisaglie non mancavano
(Syriza in Grecia, Pvv in Olanda la lista è lunga) e spesso producono
prolungata ingovernabilità, come in Spagna. Destra e sinistra diventano
sempre più etichette per gli schieramenti negli emicicli parlamentari.
Chi vota guarda ad altro.
L’eccezione tedesca conferma la nuova
regola ed è legata alla presa di Angela Merkel su una Germania in buona
salute. Il mio principale interlocutore internazionale, l’ha chiamata
Barack Obama, che arrivando a Berlino le consegna la torcia della
risposta a Trump.