mercoledì 16 novembre 2016

La Stampa 16.11.16
Rissa Parigi-Amsterdam sui disegni di Van Gogh
Una celebre studiosa certifica la scoperta di 65 tavole. Il museo olandese: sono false
di Leonardo Martinelli

Era il 20 maggio 1890, al Café de la Gare di Arles, un bar-ristorante umile e popolare, con qualche stanza sopra, «dove si può anche dormire, se proprio non hai soldi per pagarti un albergo normale, o se, alla fine della serata, sei troppo ubriaco per raggiungerne uno», scrisse in una delle sue lettere Vincent Van Gogh. Ecco, quella mattina al Café si presentò Félix Rey, il dottore di Arles, che a più riprese aveva curato il pittore dopo le sue crisi epilettiche e i suoi tracolli esistenziali: anche quel giorno maledetto, quando si mutilò di un orecchio, litigando con Gauguin. Il dottore e i coniugi Ginoux, proprietari del Café de la Gare, costituivano il cerchio di persone che ad Arles si erano affezionate subito a quell’olandese strambo, sbarcato all’improvviso in città nel 1888, a 37 anni e già tante ansie nel bagaglio.
Marie Ginoux, in particolare, Vincent lo capiva, perché anche lei, senza tante implicazioni intellettuali, ma d’istinto, viveva il suo stesso «mal di vivere». Marie non c’era quella mattina al suo Café. Neanche Joseph, il marito. Il dottor Rey lasciò al cameriere un po’ di cose: le aveva inviate a loro Van Gogh, che da quattro giorni aveva lasciato il manicomio a Saint-Rémy, per rientrare a Parigi. Scatole vuote, dove Marie aveva messo delle olive, inviate all’amico malato. E soprattutto un grosso quaderno, un libro dei conti. «La signora Ginoux lo aveva regalato a Vincent, poco dopo il suo arrivo ad Arles – ricorda Bogomilia Welsh-Ovcharov, storica dell’arte e una delle maggior esperte di Van Gogh a livello mondiale -. Era stato usato in parte, ma c’erano ancora tanti fogli liberi, dove Vincent poteva disegnare». Non è chiaro perché lui si incaponì di volerglielo restituire («probabilmente perché le voleva bene»). Sta di fatto che solo ora quel quaderno è riemerso dall’oblio, con 65 disegni del pittore.
Questa, almeno, è la convinzione della storica dell’arte. Fu lei, fra le altre cose, la curatrice della mitica mostra «Van Gogh a Parigi», che inaugurò il museo Orsay nel 1988. La Welsh-Ovcharov ha autentificato (e pure rifiutato, come falsi) diversi dipinti di Van Gogh. Le riproduzioni dei disegni appena scoperti sono contenuti in un bel testo, pubblicato in Francia da Seuil (Vincent Van Gogh: le brouillard d’Arles, carnet retrouvé) e da altre case editrici in giro per il mondo, disponibile da domani. Diciamolo subito: sulla sala belle époque di place des Vosges, ieri a Parigi, dove la Welsh-Ovcharov presentava i disegni del «suo» Vincent, dal Museo Van Gogh di Amsterdam, un’autorità nella materia, piombava un comunicato per indicare che «quei disegni inediti sono delle imitazioni».
Gli esperti olandesi puntano il dito sul tipo di inchiostro utilizzato, diverso da quello di opere simili del pittore nello stesso periodo. E poi non sono firmati, «ma se fosse solo questo - ha risposto subito la storica dell’arte – allora la metà di quanto esposto al museo di Amsterdam sarebbe falso».
Si è aperta una querelle (e durerà ancora a lungo) su questi disegni, che sono di vario tipo: autoritratti, ma soprattutto scene bucoliche, con pini vibranti, ameni cipressi, olivi contorti, i soliti girasoli, cieli allucinati. Senza contare gli schizzi preparatori di dipinti famosi, come il Ramo di mandorlo in fiore. In alcuni casi, invece, sembrano elementi di pitture già eseguite, da mandare al fratello Theo, a Parigi, nella speranza di vendere quei dipinti (vana, visto l’insuccesso di Vincent).
«Questi disegni – sottolinea la Welsh-Ovcharov – indicano bene la sua visione trascendentale della natura». Ritorniamo a quel 20 maggio 1890. Il cameriere raccolse tutto, anche quel grosso quaderno, e lo mise da parte. Finì con altri libri dei conti, dimenticato: Marie probabilmente manco lo vide. Lei morì nel 1902, il marito qualche anno dopo. Non avevano figli. Era loro proprietà anche la famosa «casa gialla», ritratta da Vincent e dove soggiornò. Il librone scomparve tra altre cianfrusaglie, spostate fra case diverse, «tutto nel raggio di una settantina di metri», secondo la Welsh-Ovcharov.
È la discendente dei nuovi proprietari della «casa gialla», già a partire dagli anni Venti, ad averlo ritrovato. E ad aversi fatto qualche domanda. Soprattutto dopo che, di recente, in un vecchio baule, ha ripescato una sorta di diario del Café de la Gare, dove, il 20 maggio 1890, il cameriere scrisse che «il dottor Rey ha portato un libro dei conti, inviato da Vincent Van Gogh». Vero o falso?