martedì 15 novembre 2016

La Stampa 15.11.16
I siciliani votano «No»
La missione siciliana del premier
di Marcello Sorgi

In un libro-intervista con Marcelle Padovani, Leonardo Sciascia sostenne la tesi, mai smentita dai fatti, della «Sicilia come metafora» dei mali italiani.
Anticipatrice in tutto, grazie anche al genio luciferino dei siciliani, l’isola infatti lo è, prima di tutto, del peggio. Sarà per questo che Renzi ha deciso di far partire il giro finale della campagna referendaria, giunta ormai al conto alla rovescia, con un blitz di 48 ore in cui, sottoponendosi a un tour de force, cercherà di ribaltare il gigantesco e plebiscitario «No» che da Palermo a Catania, da Ragusa ad Agrigento, a Trapani, a Sciacca, e così via, gli elettori locali si preparano a votare.
Perché i siciliani distintisi, già settant’anni fa nel plebiscito fondativo della Repubblica, per aver scelto la monarchia, e meno di trent’anni dopo, nel referendum sul divorzio, per essersi opposti allo scioglimento del matrimonio, mentre l’Italia andava in direzione opposta, adesso si orientino a rifiutare in massa la riforma costituzionale renziana, non è chiaro. O almeno: è evidente che nell’isola il renzismo non ha attecchito, anche a dispetto dei molti tentativi di rinnovamento del sofferente centrosinistra siciliano e di alcuni brillanti seguaci del premier. Dopo la primavera, anche per il governatore Crocetta è arrivato l’autunno. La crisi economica e il necessario rigore delle leggi di stabilità hanno via via prosciugato i rivoli dell’assistenzialismo di cui viveva uno stanco, quanto eterno, apparato clientelare. Tra invidie e scissioni, langue anche l’Antimafia, collante un tempo della riscossa civile che aveva terremotato tutti i partiti; e quello che s’annunciava come il «processo del secolo» alla presunta «trattativa» tra Stato e criminalità organizzata, sembra avviato a mediocre conclusione, e ha visto assolto clamorosamente l’ex ministro Calogero Mannino, uno dei principali imputati. Leoluca Orlando, primo cittadino di Palermo, è per il «No» ma non fa campagna, cioè non si sbilancia. A Siracusa il sindaco renziano è stato sfiduciato dal Pd bersaniano. Il centrodestra è a pezzi. Anche il partito di Alfano non si sente tanto bene. Le uniche stelle che brillano in questo panorama desolato sono quelle di Grillo, che nelle elezioni dell’anno prossimo punta alla conquista della Regione. Una Regione, sia detto per inciso, fallita e sul piano dell’amministrazione commissariata da tempo.
Tal che verrebbe da capovolgere il discorso: invece di chiedersi perché i siciliani votano «No» (nei sondaggi è in vantaggio di 8 - 10 punti sul «Sì»), occorrerebbe domandarsi chi e cosa spinge Renzi ad andare «in partibus infidelium», per giocarsi una partita che sembra persa in partenza. È una domanda che chi conosce il premier non si farebbe neppure. E la risposta è che Renzi lo fa perché è Renzi, ed è convinto di essere l’unico - o uno dei pochi - a poter riaccendere una luce, magari fioca, nel buio del deserto politico siciliano.
Se questo è dunque l’obiettivo del presidente del Consiglio, fondamentale sarà valutare con quale metodo pensi di raggiungerlo. Gli strumenti che un capo di governo ha a disposizione sono quelli che Renzi ha già adoperato in altre difficili realtà meridionali, dalla Napoli di De Magistris, che vota «No», alla Campania di De Luca (che al contrario lavora per il «Sì»), e perfino nella Puglia del suo avversario Emiliano, uomo del «No» e probabile candidato alternativo al prossimo congresso del Pd. Pure in Sicilia Renzi intende ovviamente siglare un «patto», articolato nelle diverse aree del territorio, e mirato a ristabilire un rapporto di fiducia con i cittadini disperati.
Ma che questa sia la strada per arrivare a un ravvedimento, se non proprio a un capovolgimento, dell’opinione pubblica siciliana, abituata da sempre alle promesse, è da vedere. E che possa essere la partenza, o la ripartenza, della campagna di un «Sì» in difficoltà a tre settimane dal voto, è altrettanto dubbio. Meglio sarebbe un’operazione-verità che spieghi una volta e per tutte che le riforme, anche quelle istituzionali, discutibili finché si vuole, su cui si vota il 4 dicembre, costituiscono la premessa politica di ogni agognata svolta economica: che non dipende, certo, solo da noi, ma è legata in Europa alla capacità di rinnovarsi che sappiamo dimostrare e al rispetto che ci sappiamo meritare, battendo i pregiudizi che pesano sull’immagine dell’Italia. Una metafora diversa da quella di Sciascia: ecco a cosa potrebbe servire il viaggio in Sicilia del premier. Chissà se Renzi ne sarà capace.