Corriere 15.11.16
«La maggioranza silenziosa sta con noi»
Un appello agli indecisi per scongiurare la sconfitta
di Massimo Franco
L’evocazione
da parte di Matteo Renzi di una «maggioranza silenziosa» a favore del
Sì non è solo un esorcismo. La consapevolezza del vantaggio avversario
nei sondaggi aumenta la convinzione di dover scuotere quel magma di
indecisi che possono ribaltare i pronostici sul 4 dicembre. È in quel
limbo che potrebbe annidarsi lo spezzone di opinione pubblica in grado
di trasformare una sconfitta temuta in una vittoria in extremis; e
salvare Renzi da un annuncio di dimissioni che ha ripreso ad alimentare.
La dinamica che Palazzo Chigi tenta di frenare in questi venti giorni è
la sensazione di una partita chiusa: persa perché il No si starebbe
consolidando.
La scommessa del premier è che gli indecisi siano
favorevoli alle riforme; e dunque vadano spinti a votare. Quando
sostiene che «la maggioranza silenziosa degli italiani è con noi: sia
chi vota altri partiti, sia chi non vota più», Renzi parla a loro. E
aggiungendo di non essere al governo «per galleggiare, come hanno fatto
generazioni di politici», rimarca la propria diversità. È un gioco
arrischiato, perché implica un giudizio sommario e liquidatorio su
quanti hanno governato l’Italia nel passato.
Ma soprattutto,
l’accentuazione di una sorta di «populismo dall’alto» del presidente del
Consiglio inserisce elementi di rottura dei quali rischia di
avvantaggiarsi il populismo doc. Se per prevalere si accarezzano la
polemica contro l’Unione europea e lo smarcamento dal «sistema» e da
«Roma», il risultato può essere paradossale. Tra il Renzi che vanta il
traguardo dei mille giorni di durata del governo e quello che vuole
andarsene se perde, si avverte una contraddizione. Invoca stabilità, e
chiede il Sì per certificarla. Eppure «chiama» l’instabilità se il
referendum consultivo lo boccia.
L’impressione rimane quella di
sempre: non essendo stato eletto, il premier usa il 4 dicembre per avere
la legittimazione popolare che gli manca; e sovraccarica il risultato
di significati impropri. Accredita perfino la nuova impennata dello
spread come conseguenza delle incognite referendarie. «Aumenta lo
spread? Ovvio, se c’è incertezza», constata Renzi, irritando gli
avversari. Molti problemi rimarranno, in primo luogo quelli economici:
chiunque vinca. Ma il premier ritiene che solo legando quanto non va a
un’eventuale sconfitta possa spostare gli orientamenti del voto.
Ora,
dopo avere puntato su Hillary Clinton, cerca di non subire ma di
sfruttare l’«effetto Trump»: vuole cavalcarlo paragonandosi a lui come
sfavorito nei sondaggi, che alla fine prevale. Quanto a demagogia, però,
il M5S promette di fare meglio. Accusa Renzi di «usare un elicottero di
Stato per spostarsi da Messina a Reggio Calabria nella sua campagna per
il Sì»; e di occupare spregiudicatamente la tv di Stato. L’alleato
Angelino Alfano osserva e «sconsiglia le dimissioni». Ma la prudenza,
nell’ottica renziana, è un difetto e un limite.