lunedì 14 novembre 2016

La Stampa 14.11.16
Cari democratici, è l’arroganza che vi ha fatto perdere
Adesso per i liberal l’esilio rischia di essere lungo. Ma forse per loro non sarà una cosa negativa
di Stephen L. Carter

Siamo franchi. Dopo l’esplosione elettorale di questa settimana, per il liberalismo si preparano anni nel deserto. Non è solo che il presidente eletto è Donald Trump. È che un partito democratico che non più tardi di lunedì pensava di aver forgiato una coalizione elettorale sufficientemente solida da durare per decenni ora si trova nel caos.
Nel 2018 il partito dovrà difendere un numero stupefacente di seggi, 25 nel caucus per il Senato, molti dei quali in Stati conquistati da Trump. «Sarà un disastro», ha detto uno stratega democratico - e questo ancora quando la gente pensava che Hillary Clinton fosse la favorita. I repubblicani controllano una cifra record di 69 organi legislativi statali su 99 e avranno almeno 33 governatorati, il numero più alto dal 1922. In breve, l’esilio dei democratici rischia di essere lungo.
Forse non è una cosa negativa - non se si usa in modo corretto questo periodo di esilio dal potere. Sì, la campagna elettorale di Trump è stata spesso sgradevole. Sì, io sono tra quelli preoccupati per la sua imprevedibilità. Ma la sinistra ha del lavoro da fare, non solo sulla politica e sull’organizzazione, ma anche sull’atteggiamento. Troppi anche tra i miei amici progressisti sembrano aver dimenticato come argomentare in modo puntuale, e sono invece diventati esperti di condanna, derisione e scherno. Punto dopo punto sono molto bravi a spiegare il motivo per cui nessuno potrebbe mai avversare le loro posizioni politiche se non per i più vili dei motivi. E quelle stesse posizioni troppo spesso sono enunciate con zelante solennità, quasi suggerendo che i loro punti di vista sono la Sacra Scrittura - e chi dissente dev’essere confinato nelle tenebre, politicamente parlando. In breve, la sinistra è stata ultimamente ricolma di arroganza, e la hybris nella letteratura classica preannuncia sempre una caduta.
I miei amici di sinistra hanno via via preso ad assomigliare un po’ troppo ai miei amici di destra, e anche il partito repubblicano di tanto in tanto ha ricevuto ben meritati calci nel sedere. Ma è il liberalismo che si è pensato a torto vincente, mentre i conservatori si sono ritrovati lottando per un’identità.
Perché dico che l’esilio nel deserto farà bene ai democratici? Clinton in effetti non ha perso molto, e probabilmente ha vinto il voto popolare. Eppure la diga blu è stata travolta. I democratici dovrebbero interrogarsi seriamente sul perché.
Suggerisco spesso ai miei studenti che il liberalismo nella sua esemplificazione politica, con tutto il suo fascino, è una teoria così potente che probabilmente funziona meglio all’opposizione che al governo. Il liberalismo moderno è diventato ciò che i filosofi liberal ancora poco tempo fa avrebbero deriso come una «visione globale» - una teoria che crede di poter rendere conto di come dovrebbe operare ogni istituzione della società, e persino, ahimè, di come dovrebbero pensarla le singole persone.
Quello che mi auguro che i democratici possano imparare da questa sconfitta non è che il popolo americano è irrimediabilmente razzista, o che, come ho sentito qualcuno dire, tutto quello che si deve fare è aspettare qualche anno finché non moriranno milioni di cittadini anziani che votano repubblicano. Spero che non passino molto tempo borbottando sugli Stati Uniti che dovrebbero essere classificati come Stato fallito o sul sistema da cambiare perché gli elettori sono troppo stupidi per dare loro fiducia. Mi auguro che non incolpino il loro candidato, perché troppo centrista, spostandosi ancora più a sinistra.
Quello che mi auguro invece è che i liberal di oggi riscoprano le virtù del liberalismo vincente dagli Anni Cinquanta agli Anni Settanta che i democratici sembrano voler emulare. Queste virtù includevano tolleranza per il dissenso, uno sforzo per evitare di ridurre problemi seri a ricerche dell’applauso facile e fondamentalmente un atteggiamento di umiltà nel governare. Questo non significa che i liberal vecchio stile non credessero, sinceramente, di avere ragione. Ma accettavano che la loro nazione fosse un luogo diverso, che gli avversari avessero il diritto di dire la loro, che il governo non dovesse cercare di fare tutto in una volta, e che la politica dovesse perseguire la linea di un lavoro condiviso.
La lezione per i liberal è che devono di nuovo fare sul serio. L’impronta che contraddistingue una democrazia sana è la preferenza per gli argomenti piuttosto che per le invettive. Queste sono le radici che la sinistra deve ritrovare. È vero, viviamo in un’epoca in cui un dibattito serio non è molto apprezzato. Forse un partito democratico lontano dal potere per qualche anno riuscirà a trovare la via del ritorno, ricordando a tutti noi come si fa.