La Stampa 14.11.16
Scusaci mondo se abbiamo combinato questo pasticcio
Dovremmo essere i soli a pagarne le conseguenze ma non sarà così. Ci aspettano anni di barbarie
di Bret Anthony Johnston
Caro
mondo, ti chiedo scusa. Mi dispiace per quello che è accaduto e per
quello che sta per accadere. Non ti meriti la sfrenata barbarie degli
anni a venire. Se qualcuno se la è meritata, siamo noi. Siamo stati noi a
combinare questo pasticcio e dovremmo essere i soli a pagarne le
conseguenze. Ma nella notte elettorale, insieme a tante altre cose,
anche la parola «dovremmo» ha perso senso.
Chiedo scusa perché
l’America si è immersa talmente nei reality della tv e nei social media
da rendere inevitabile il successo elettorale di uno dei protagonisti di
maggior successo di quel mondo. Trump è abituato a competere per
l’audience e i retweet, e per buona parte del decennio passato i suoi
concorrenti maggiori sono stati i Kardashian, di certo avversari
formidabili. Per emergere in una palude virtuale di narcisisti ha
utilizzato la strategia dell’aggressività, della volgarità e della
provocazione sfacciata, ed è stato premiato dalla memoria corta e dal
deficit di attenzione degli americani.
(Visto che ho menzionato i
Kardashian, vorrei essere il primo a fare l’endorsement di Kim per la
presidenza. Con la sua ricchezza, le orde di seguaci e il suo impero di
reality tv, con le sue chiacchiere sul sesso e lo sfoggio scaltro delle
griffe, e con la sua carenza di esperienza politica, mi sembra perfetta
come prima donna presidente del nostro Paese. E forse, intanto che si
candiderà, tutto questo confuso sistema di collegi elettorali verrà
fortunatamente superato e potremo eleggere il leader del mondo libero
con un comodo e maneggevole sistema di «mi piace»).
Chiedo scusa
per quello che la presidenza Trump significa per persone di colore, per i
membri della comunità Lgbt, per i non cristiani, i laureati, i veterani
e i coscritti, gli anziani, i malati e i bambini, l’ambiente e gli
animali, i disabili, il sistema giudiziario e la stampa libera, i poco
istruiti, i poveri e le donne, soprattutto le donne.
Chiedo scusa
perché uno dei miei primi pensieri poco prima dell’annuncio del
risultato elettorale è stato quello di essere contento di non avere
figli.
Chiedo scusa perché non me la sento più di combattere. Mi
piacerebbe pensare che sia una straordinaria sfortuna, una sorta di
anomalia, un tragico incidente. Ma non mi sento ingannato, mi sento
semmai di aver sbagliato. Quello in cui credevo è stato clamorosamente
rifiutato, e dopo aver ripercorso la logica che ci ha condotti fin qui
non ho altra scelta se non riconoscere la sconfitta. I valori di questo
Paese non sono i miei. È una scoperta sconvolgente, ma il suo peso
innegabile, la sacra forza della verità con cui si presenta me la fanno
accettare senza discutere, senza amarezza e risentimento. Rimarrò a
vivere in America, ma non facciamoci illusioni, vivrò in esilio.
Mi
dispiace perché la vita sta per diventare molto, molto difficile, ma
perlomeno l’arte diventerà più bella. Se ci sarà una luce a squarciare
il buio che incombe imminente, sarà l’illuminazione dell’immaginazione.
Sarà l’atto profondo di portare una testimonianza. I peggiori periodi
della storia hanno di solito prodotto dipinti, poemi e canzoni che sono
sopravvissuti alle lotte che li hanno generati.
Mi dispiace che la
grande arte non basterà per tutti noi. Né basteranno la rabbia, la
protesta, l’empatia, la passione e l’unità: saranno dei palliativi, ma
non la cura. Perché? Perché non c’è una malattia. Trump non è qualcosa
che dobbiamo espellere dal nostro sistema. Lui è il sistema, e la sua
elezione è il primo passo verso l’eliminazione di quello che non serve
al sistema: me, voi, noi. Siamo noi il cancro, siamo noi i terroristi,
siamo noi quelli radicalizzati ed emarginati.
Se c’è un vantaggio è
quello che la nostra morte sarà rapida. Abbiamo tratto consolazione
dalla lotta che abbiamo condotto, e dalle non irrilevanti vittorie che
abbiamo conseguito. Seguiamo l’esempio pieno di grazia di Hillary, e
arrendiamoci con integrità, con coraggio, con l’indiscutibile
consapevolezza che non avevamo nessuna possibilità di vincere. Issiamo
la nostra bandiera messa al contrario. Osserviamo bruciare le nostre
città e scaldiamoci le mani sulle ceneri della Costituzione. Abbattiamo i
nostri monumenti per fare spazio ad alberghi giganteschi. Postiamo
qualunque cosa su Facebook e Twitter. Bombardiamo questi, quelli e
quegli altri. Denunciamo per calunnia, danno e discriminazione. Rendiamo
l’America di nuovo stupratrice.
Chiedo scusa se qualcosa di
quello che ho detto vi suona offensivo. Ma mi dispiacerebbe ancora di
più se non fosse così. Criticatemi. Licenziatemi. Prosciugate la mia
palude narcisista e buttatemi fuori. Ma mettiamo in chiaro una cosa:
nonostante tutto, io resto con lei. E per «lei» intendo ovviamente Kim
Kardashian.
[Traduzione di Anna Zafesova]