La Stampa 11.11.16
Cesare Lombroso sionista riluttante
Nel 1898 Theodor Herzl tentò di conquistare lo scienziato alla causa del nazionalismo ebraico: lo rivela un carteggio
Padre
della antropologia criminale Cesare Lombroso (Verona 1835 - Torino 1909
era alla fine dell’Ottocento uno degli scienziati più noti a livello
internazionale
di Emanuele D’Antonio
Nell’estate
del 1898 Theodor Herzl, il fondatore del sionismo politico, tentò di
conquistare Cesare Lombroso alla causa del nazionalismo ebraico.
L’episodio, documentato da alcuni carteggi inediti conservati presso il
Museo Lombroso di Torino e i Central Zionist Archives di Gerusalemme,
riporta alla luce una pagina poco nota di storia dell’ebraismo nella
turbolenta fin-de-siècle europea. Il sionismo si era costituito in
soggetto politico al Congresso di Basilea del 1897, nel nome
dell’autodifesa dall’antisemitismo e della preservazione dell’identità
ebraica dalla «assimilazione».
Il nuovo movimento spaccò
l’ebraismo europeo, suscitando entusiasmi ma anche ostilità. L’ideologia
dell’emancipazione, egemonica nelle Comunità, ne criticava il carattere
«antimoderno», pericoloso per le conquiste seguite all’affrancamento
dal ghetto. È dunque in un contesto di forte conflittualità interna che,
alla vigilia del secondo Congresso di Basilea, si inscrive
l’abboccamento di Herzl a Lombroso. Il veronese, docente di Psichiatria a
Torino e padre dell’antropologia criminale, non era solo una celebrità
internazionale della scienza e della cultura ma anche uno dei più noti
intellettuali ebrei dell’epoca. La sua adesione avrebbe prodotto gran
clamore, offrendo nuova legittimazione al movimento sionista.
Ebreo «assimilazionista»
Che
il compito fosse malagevole, Herzl doveva ben saperlo. Lombroso aveva
già detto la sua alla vigilia dello scoppio dell’affaire Dreyfus, nella
monografia su L’antisemitismo e le scienze moderne (1894). Lo scienziato
aveva allestito un’autorevole difesa dell’emancipazione respingendo, in
nome del sapere socio-antropologico, la sfida dei movimenti antisemiti
di massa. L’antisemitismo gli appariva uno strumento di propaganda
nazionalista, che mobilitava atavici odi etno-religiosi. L’ideale della
nazione ariana era fuorviante e regressivo: il métissage aborrito dagli
antisemiti era da secoli realtà e fonte di sviluppo delle società
europee. Gli ebrei erano una popolazione «più aria che semita», protesa
all’integrazione nel corpo nazionale e, dove emancipati, alfieri del
progresso comune.
Il discorso lombrosiano si faceva ferocemente
critico, trattando di alcuni usi ebraici, a suo dire, residuali e
anacronistici. Lombroso, ribadita la bontà dell’emancipazione, dava voce
alla sua identità di ebreo «assimilazionista»: l’umanità era chiamata a
superare le appartenenze tradizionali, raccogliendosi in una nuova
solidarietà universale. Il sionismo, in questo quadro, non poteva
trovare alcuno spazio. Il viennese Nathan Birnbaum, importante figura
della fase pre-herzliana, lo aveva interpellato al riguardo. Lombroso
gli riservò una cocente delusione: il suo progetto era un’utopia
antistorica e irrealizzabile. La Palestina era «un deserto» poco
attraente per gli ebrei d’Europa, legati da vivissimo amore alle loro
patrie. I «pochi fanatici» disponibili a migrarvi, russi e romeni
incolti, non erano in grado di portare avanti ambiziosi progetti di
colonizzazione agraria. Il precedente era ben poco incoraggiante.
«Troppo vecchio...»
Nel
luglio 1898 Herzl gli inviò fiducioso una propria brochure. Lo
scienziato, benché non ne fosse molto impressionato, formulò un giudizio
positivo grazie alla mediazione della rete familiare e amicale: il
tessuto connettivo lo crearono la figlia Gina e il Kulturkritiker Max
Nordau, intimo di Lombroso e braccio destro di Herzl. La Welt, organo
ufficiale del sionismo, annunciò la sua «conversione», sollecitata dai
«figli» e giunta dopo «un lungo dibattito» familiare.
A questo
punto Herzl alzò il livello delle richieste, invitandolo nel novero dei
suoi opinionisti: «Io credo che [Lombroso]», scriveva alla figlia Gina
il 13 luglio, «potrebbe riscontrare più il genio che la follia della
razza ebraica in questo movimento [che] abbraccia i figli - e le figlie!
- della nostra nazione». Il 29 luglio, la Welt pubblicò in prima pagina
il lombrosiano Der Zionismus in Italien und anderswo. Lo scienziato,
fatta ammenda del precedente giudizio, legittimava il sionismo quale
risorsa per risollevare dall’oppressione le masse ebraiche dell’Europa
orientale. La sua testimonianza alimentò la speranza della leadership
sionista di riuscire a coinvolgerlo nell’attività del movimento. Alla
metà di agosto Lombroso fu acclamato delegato del circolo di Braila, in
Romania, all’imminente Congresso di Basilea. Il mandato gli fu
comunicato separatamente da Herzl e Nordau. «La nostra causa, che voi
stesso giudicate grande», gli scriveva il leader sionista il 19 agosto,
«trarrebbe il massimo vantaggio dalla vostra presenza e dall’autorità
del vostro nome».
Lombroso non era convinto, né riusciva a
concepire il sionismo diversamente da una pratica filantropica. Nordau,
ben consapevole, lo invitò a ponderare l’accettazione: «Vi si attaccherà
certo in Italia, e voi non avrete altra ricompensa della soddisfazione
di coscienza». Il dovere di un buon ebreo, anche alieno a «una parte
attiva», era quello di rivendicarsi tale: «Voi apportate una grande
forza morale al sionismo, dichiarandovi simpatico ai suoi obiettivi».
Poco dopo Lombroso comunicò a Herzl il rifiuto del mandato: «Troppo
vecchio di mente e corpo, non però [...] di spirito, la prego di dire ai
suoi amici che se io fossi più giovane [...] sarei uno dei più ardenti
partigiani del sionismo». Il messaggio, letto all’assise congressuale,
avrebbe scatenato un’ovazione fra i delegati.
Nell’estate del 1898
Theodor Herzl, il fondatore del sionismo politico, tentò di conquistare
Cesare Lombroso alla causa del nazionalismo ebraico. L’episodio,
documentato da alcuni carteggi inediti conservati presso il Museo
Lombroso di Torino e i Central Zionist Archives di Gerusalemme, riporta
alla luce una pagina poco nota di storia dell’ebraismo nella turbolenta
fin-de-siècle europea. Il sionismo si era costituito in soggetto
politico al Congresso di Basilea del 1897, nel nome dell’autodifesa
dall’antisemitismo e della preservazione dell’identità ebraica dalla
«assimilazione».
Il nuovo movimento spaccò l’ebraismo europeo,
suscitando entusiasmi ma anche ostilità. L’ideologia dell’emancipazione,
egemonica nelle Comunità, ne criticava il carattere «antimoderno»,
pericoloso per le conquiste seguite all’affrancamento dal ghetto. È
dunque in un contesto di forte conflittualità interna che, alla vigilia
del secondo Congresso di Basilea, si inscrive l’abboccamento di Herzl a
Lombroso. Il veronese, docente di Psichiatria a Torino e padre
dell’antropologia criminale, non era solo una celebrità internazionale
della scienza e della cultura ma anche uno dei più noti intellettuali
ebrei dell’epoca. La sua adesione avrebbe prodotto gran clamore,
offrendo nuova legittimazione al movimento sionista.
Ebreo «assimilazionista»
Che
il compito fosse malagevole, Herzl doveva ben saperlo. Lombroso aveva
già detto la sua alla vigilia dello scoppio dell’affaire Dreyfus, nella
monografia su L’antisemitismo e le scienze moderne (1894). Lo scienziato
aveva allestito un’autorevole difesa dell’emancipazione respingendo, in
nome del sapere socio-antropologico, la sfida dei movimenti antisemiti
di massa. L’antisemitismo gli appariva uno strumento di propaganda
nazionalista, che mobilitava atavici odi etno-religiosi. L’ideale della
nazione ariana era fuorviante e regressivo: il métissage aborrito dagli
antisemiti era da secoli realtà e fonte di sviluppo delle società
europee. Gli ebrei erano una popolazione «più aria che semita», protesa
all’integrazione nel corpo nazionale e, dove emancipati, alfieri del
progresso comune.
Il discorso lombrosiano si faceva ferocemente
critico, trattando di alcuni usi ebraici, a suo dire, residuali e
anacronistici. Lombroso, ribadita la bontà dell’emancipazione, dava voce
alla sua identità di ebreo «assimilazionista»: l’umanità era chiamata a
superare le appartenenze tradizionali, raccogliendosi in una nuova
solidarietà universale. Il sionismo, in questo quadro, non poteva
trovare alcuno spazio. Il viennese Nathan Birnbaum, importante figura
della fase pre-herzliana, lo aveva interpellato al riguardo. Lombroso
gli riservò una cocente delusione: il suo progetto era un’utopia
antistorica e irrealizzabile. La Palestina era «un deserto» poco
attraente per gli ebrei d’Europa, legati da vivissimo amore alle loro
patrie. I «pochi fanatici» disponibili a migrarvi, russi e romeni
incolti, non erano in grado di portare avanti ambiziosi progetti di
colonizzazione agraria. Il precedente era ben poco incoraggiante.
«Troppo vecchio...»
Nel
luglio 1898 Herzl gli inviò fiducioso una propria brochure. Lo
scienziato, benché non ne fosse molto impressionato, formulò un giudizio
positivo grazie alla mediazione della rete familiare e amicale: il
tessuto connettivo lo crearono la figlia Gina e il Kulturkritiker Max
Nordau, intimo di Lombroso e braccio destro di Herzl. La Welt, organo
ufficiale del sionismo, annunciò la sua «conversione», sollecitata dai
«figli» e giunta dopo «un lungo dibattito» familiare.
A questo
punto Herzl alzò il livello delle richieste, invitandolo nel novero dei
suoi opinionisti: «Io credo che [Lombroso]», scriveva alla figlia Gina
il 13 luglio, «potrebbe riscontrare più il genio che la follia della
razza ebraica in questo movimento [che] abbraccia i figli - e le figlie!
- della nostra nazione». Il 29 luglio, la Welt pubblicò in prima pagina
il lombrosiano Der Zionismus in Italien und anderswo. Lo scienziato,
fatta ammenda del precedente giudizio, legittimava il sionismo quale
risorsa per risollevare dall’oppressione le masse ebraiche dell’Europa
orientale. La sua testimonianza alimentò la speranza della leadership
sionista di riuscire a coinvolgerlo nell’attività del movimento. Alla
metà di agosto Lombroso fu acclamato delegato del circolo di Braila, in
Romania, all’imminente Congresso di Basilea. Il mandato gli fu
comunicato separatamente da Herzl e Nordau. «La nostra causa, che voi
stesso giudicate grande», gli scriveva il leader sionista il 19 agosto,
«trarrebbe il massimo vantaggio dalla vostra presenza e dall’autorità
del vostro nome».
Lombroso non era convinto, né riusciva a
concepire il sionismo diversamente da una pratica filantropica. Nordau,
ben consapevole, lo invitò a ponderare l’accettazione: «Vi si attaccherà
certo in Italia, e voi non avrete altra ricompensa della soddisfazione
di coscienza». Il dovere di un buon ebreo, anche alieno a «una parte
attiva», era quello di rivendicarsi tale: «Voi apportate una grande
forza morale al sionismo, dichiarandovi simpatico ai suoi obiettivi».
Poco dopo Lombroso comunicò a Herzl il rifiuto del mandato: «Troppo
vecchio di mente e corpo, non però [...] di spirito, la prego di dire ai
suoi amici che se io fossi più giovane [...] sarei uno dei più ardenti
partigiani del sionismo». Il messaggio, letto all’assise congressuale,
avrebbe scatenato un’ovazione fra i delegati.