il manifesto 11.11.16
La prima rivoluzione femminista al mondo
Cinema.
Al festival internazionale Cinema e donne di Firenze, appena concluso, è
stato presentato il film «Kurdistan, la guerre des filles». Non solo
armi: le guerriere curde hanno costruito una società senza patriarcato
di Silvana Silvestri
FIRENZE
Si intitola Sex & Story questa edizione del Festival
internazionale Cinema e donne di Firenze appena conclusa: l’ambito «Sex»
è stato ampiamente espresso dai film sul genere, sui pericoli della
manipolazione mediatica e pubblicitaria, ha riportato la voce delle
femministe storiche anche con il film del ’73 La lotta non è finita di
Annabella Miscuglio, dove si mette a punto la differenza della
mobilitazione femminista a base di creatività e dialogo rispetto ai
metodi del movimento studentesco e operaio. L’ambito «Story» del
Festival con il film Kurdistan, la guerre des filles di Mylène Sauloy
scopre un inaspettato scenario di cui ben poche notizie trapelano oltre a
qualche flash in tv quando le guerriere curde respinsero l’avanzata
dell’Isis.
«Il film – dice la regista – racconta una storia di
quarant’anni nel Kurdistan curdo dove la parità è stata raggiunta in
tutte le istituzioni, con consigli di donne in tutti i quartieri. È la
prima rivoluzione femminista al mondo». Il film arriva in prima linea
nei territori curdi tra Iraq, Siria e Kurdistan dove gli eserciti delle
donne hanno riconquistato postazioni e villaggi. Lei in quelle zone si è
recata varie volte, coperta dal burqa e con la telecamera nascosta
sotto le vesti, ha creato una complicità con le guerriere che la
conducono sulla linea di fuoco. Ma del resto come documentarista è già
arrivata in clandestinità in tutto il mondo dove avviene qualcosa di
esplosivo, dalla Cecenia (Grozny 51) all’Amazzonia.
«All’inizio,
non ero convinta del fatto che le donne usassero le armi – ci dice – poi
andando in quelle zone ho capito che l’unica autodifesa era difendersi
per non soccombere». Sì, sa usare un kalashnikov, ma assai meglio
utilizza la telecamera per raccontare una storia che riguarda tre
milioni di persone, con iniziative di rieducazione degli uomini che ne
fanno richiesta, della durata (non a caso) di nove mesi. «Quando agli
uomini si chiede cosa pensano delle donne che hanno rotto gli schemi
patriarcali dicono che nessuno li ha consultati, dicono che ora le donne
hanno preso le armi e non si può discutere».
«In Kojava la
rivoluzione da due o tre anni ha portato a un patto sociale come quello
di Rousseau che instaura la parità in 96 punti». A partire dai funerali
delle militanti Sakiné Cansiz, Fidan Dogan, Leyla Soylemez assassinate
nel 2013 a Parigi vediamo nel film come si sia allargata la
mobilitazione: «Una cultura che viene denominata Pkk per demonizzarla,
che inizialmente era aiutata dal Pkk ma che è cultura del paese. Oggi la
Turchia sta cercando di far comparire queste formazioni come Pkk, è
un’azione contro questa democrazia partecipativa. Il futuro di questi
paesi dipenderà dalla posizione che prenderanno i governi occidentali».
Di
tutto questo non c’è traccia sulla nostra televisione a parte donne col
fucile, ma, ci dice, di tutto il complesso progetto non si parla
neanche nelle altre televisioni europee. A poca distanza dal teatro La
Compagnia dove ha luogo il festival si tiene una manifestazione di
Rifondazione per il Kurdistan, contro i recenti arresti dei
rappresentanti curdi a cui Mylène Sauloy non manca di partecipare.
«Oggi la Turchia – dice – ha deciso di farla finita con la democrazia,
la possibilità di sopravvivenza di questi popoli, dipenderà anche dalla
posizione degli Stati Uniti» (e ancora non erano arrivate le notizie
delle presidenziali).