La Stampa 11.11.16
Nella Vienna operaia affascinata dalla destra
Sulla
scia del voto statunitense che ha premiato il nazionalismo alle
presidenziali di dicembre molti socialdemocratici tentati da Hofer
Non
è tanto il poliziotto di 29 anni arrestato alla frontiera di
Nickelsdorf perché salutava gli automobilisti ungheresi al grido di
«Heil Hitler!». Non è neppure il centro d’accoglienza di Rohrbach,
completamente dato alle fiamme prima dell’arrivo dei profughi. Nemmeno
sarebbe giusto fermarsi alla soddisfazione per la vittoria di Donald
Trump espressa dal giovane leader del «Movimento identitario» Martin
Sellner, uno che non ha problemi a pubblicare in rete simboli nazisti:
«Grazie America per avermi regalato la notte più bella della mia vita.
Per costruire muri intorno alle nostre frontiere, prima dobbiamo
abbattere la fortezza del politicamente corretto».
No, per capire
quello che succederà alle presidenziali austriache del 4 dicembre, dopo
annullamenti, ricorsi e rinvii, bisogna venire al mercato Viktor Adler
nel quartiere Favoriten, distretto numero 10. È una periferia operaia e
impiegatizia, tradizionalmente socialdemocratica. Di sinistra. Un
quartiere che sta cambiando pelle giorno dopo giorno. Sarà Vienna la
prossima Brexit?
Tilman Fromelt della Caritas, allo stand 129 del
mercato più multietnico della città, responsabile dello sportello che si
occupa di sanare i conflitti sociali, ne è sicuro: «Il 4 dicembre
vincerà il populista Hofer. Purtroppo vedo in Austria gli stessi
terribili semi che c’erano prima della Seconda Guerra Mondiale. I
migranti sono gli ebrei di allora. Da almeno un anno non c’è nessuna
emergenza. Questo è ancora un Paese ricco. Ma i profughi vengono usati
continuamente per fare leva sull’insicurezza delle persone. In questi
piccoli bar del mercato, i pensionati iniziano a bere alle dieci del
mattino, ed è di questo che parlano: di come la loro vita stia
peggiorando. Non per quello che è successo, ma per quello che potrebbe
succedere».
Il Viktor Adler Markt è il posto dove tutto si
incrocia. Puoi trovare cucina bulgara e cinese, cavoli bianchi, noci
sgusciate, peperoncini dal Marocco e mirtilli dagli incantati boschi
austriaci. Puoi verificare che i dati reali contano, ma le paure di più.
Ad agosto del 2016 i disoccupati in Austria erano 388.624, cioè l’8,3%
della popolazione. Ad aprile del 2015 erano il 5,7%. C’è stato un lieve
impoverimento del Paese, quindi. Lieve. Ma alla signora Helga Pruller,
72 anni, al bancone del «Lilly’s cafè», dove tutti ancora fumano
accanitamente, interessa davvero poco. «Italiano? Ah, l’Italia!», dice
appoggiando il bicchiere di vino bianco sul bancone. «Ero stata in
vacanza a Lampedusa quasi dieci anni fa. C’erano poliziotti dappertutto.
E poi, di giorno, i migranti erano seduti per strada». Ce l’ha con i
migranti? «Non possiamo sistemare tutti. Prendo 600 euro di pensione
minima perché ho lavorato solo 26 anni come segretaria in uno studio
legale. Mio marito faceva il ferroviere e mi ha obbligata a stare casa
con i nostri due figli. Così ho perso anni di lavoro, che adesso mi
sarebbero serviti». Dopo una vita con il partito socialdemocratico,
adesso voterà la destra populista del Fpö: «Hofer non è Haider. Sono
persone diverse pur militando nello stesso partito. Hofer non è nazista,
neanche io lo sono. Ma serve una scossa, una rivoluzione. Questo
sistema deve cambiare. Il problema non è l’Austria, ma la dittatura
dell’Unione Europa. Non possiamo decidere nulla. Nemmeno il numero di
migranti. Io ne conosco che lavorano ed hanno una famiglia. Ma adesso
basta». La cosa magnifica è che per spiegarsi la signora Pruller si
avvale della traduzione del barista curdo Ere Öz, nato nel 1989 in
Turchia e residente a Vienna dal 1991. Ogni giorno serve litri di vino e
birra ai pensionati, al punto da conoscere le loro storie a memoria:
«Dovevate esserci durante il comizio del Fpö al mercato. Erano tutti lì
ad applaudire». Nel decimo distretto, al primo turno, la destra
populista aveva preso il 36,9%. Al ballottaggio era arrivata al 45,6.
Quello che succederà intorno a questo mercato forse cambierà l’Europa.
Il
4 dicembre tornano a sfidarsi il populista con la pistola Norbert Hofer
(«Che dio mi aiuti», il suo slogan sui manifesti) e il professore
universitario sostenuto dai Verdi Alexander Van Der Bellen. Li separano
pochissimi voti. «Rispetto ad Hillary Clinton, Van Der Bellen ha il
vantaggio di non essere un’espressione dell’establishment. È visto come
il nonno di tutti» dice Oliver Pink, responsabile degli Interni del
quotidiano conservatore Die Presse. Basterà? «Io credo che possa
vincere. Ma sarà una sfida estremamente equilibrata».
Il 2
settembre del 2015 tutte le stazione di Vienna, Vienna la rossa, Vienna
socialdemocratica, erano piene di ragazzi e ragazze che accoglievano i
profughi in fuga dall’Ungheria. Quei giorni sono durati pochissimo.
Raccontano che il clima sia iniziato a cambiare il 2 dicembre dello
stesso anno. Quando un profugo iracheno è stato arrestato per violenza
sessuale nei confronti di un bambino, nella piscina pubblica di
Theresienbad. «Ho commesso un errore enorme, ma ero in emergenza, non
facevo sesso da quattro mesi» ha dichiarato durante il processo. La
condanna è stata annullata la scorsa settimana per vizi procedurali. Ed è
qualcosa che ha rimesso in circolo la rabbia. A nulla sono servite le
statistiche fornite dalla polizia federale: «Nel 2014 ci sono state 126
condanne per stupro, il 58,7% riguardano cittadini austriaci». Così come
poco interessa la salute psichica dell’arrestato. «Questa Paese si
sentiva forte, ricco, sicuro e in pace» dice la signora Pruller prima di
ordinare un altro bicchiere di bianco. Forse nel suo rimpianto c’è la
chiave per capire il futuro dell’Austria.