venerdì 11 novembre 2016

La Stampa 11.11.16
Sarah in piazza «Non è il mio presidente»
A New York tra i giovani che guidano la rivolta
Manifestazioni contro il tycoon in tutto il Paese “È razzista e sessista”. Oltre cento in manette
di Francesco Semprini

«Ci vediamo tra un’ora a Union Square». «Bene, gli altri sono lì ad aspettarci. Mi raccomando, ricordati la bandiera della pace». «Già messa nello zaino, tu piuttosto non dimenticare lo striscione #NotMyPresident». Inizia così, con un ultimo scambio di messaggi su WhatsApp, la notte più lunga del popolo anti-Trump, più lunga anche di quella trionfante del candidato repubblicano e della sua maggioranza silenziosa.
Questa volta è il turno dell’opposizione rumorosa. È la notte anti-Trump di Sarah e compagni, lei studentessa della New School University che l’8 novembre ha fatto il suo esordio alle urne e ha dovuto fare i conti con la peggiore delle sconfitte. «Abbiamo il diritto a protestare contro sessismo, razzismo, discriminazioni contro gli invalidi», urla Julia, quasi 30 anni, discografica. È con lei che Sarah si stava scambiando i messaggi prima della grande adunanza a Union Square, epicentro delle proteste della New York progressista e liberal. Come loro, altre migliaia di persone si sono date appuntamento su Facebook e su Twitter in nome dello slogan «Not My President», declinato in tutte le formule social. Con Sarah e Julia ci sono Nicholas e Ramon, il primo figlio di un ex lavoratore dell’acciaio che ha votato Trump, convinto di poter riavere un’occupazione e la dignità. «Mio padre si è fatto prendere in giro, votare per una persona che predica l’odio è folle». Ramon invece è il tuttofare di un palazzo di Bay Ridge a Brooklyn, domenicano di 50 anni che spera di potersi ricongiungere con moglie e figli quanto prima. O almeno lo sperava. «Il muro gli cascherà addosso - dice -, vuole dividere le nostre famiglie, ma si accorgerà che senza di noi questo Paese è finito». Quattro persone, quattro storie diverse, ma che riconducono tutte alla Trump Tower.
È lì, all’incrocio tra 56esima e Fifth Avenue, che convergono le masse anti-Trump provenienti da tutta New York. Del resto tutti i quartieri della Grande Mela hanno votato contro «The Donald» a parte Staten Island, roccaforte repubblicana. Ed è proprio lì, sotto la Torre d’avorio del tycoon, che la polizia ha organizzato una grande gabbia di transenne, mentre agenti in tenuta antisommossa creano cordoni di sicurezza nelle strade circostanti.
Era dai tempi di «Occupy Wall Street», il movimento che si batteva contro le politiche a favore dell’1% dei ricchissimi, che nella City non si vedeva una mobilitazione così massiccia. Da Sud verso Nord un fiume di persone cinge d’assedio Midtown: vengono da Union Square appunto, ma anche da Washington Square, la piazza con l’arco e la statua di Giuseppe Garibaldi. Dall’eroe dei due mondi hanno preso in prestito il rosso della camicia per sventolarlo su aste di legno. Ci sono vessilli socialisti, anarchici, sindacalisti, di Black Lives Matter, «Pussy power» e dello sterminato popolo di Bernie Sanders, il senatore sconfitto da Hillary alle primarie: «Chissà se ci fosse stato?». Ma oggi non c’è tempo per le recriminazioni, oggi si sfila uniti contro il «mostro»: «Trump Makes America Hate», campeggia su un cartello stretto tra le mani di George, 40 anni, dipendente di una società di spedizioni. «Adesso Trump ci impedirà di ricevere pacchi dal Messico», dice sarcastico mentre si unisce a Sarah e ai suoi compagni di viaggio. George viene da Times Square insieme a diverse centinaia di manifestanti, mentre un altro gruppo arriva da Columbus Circle dopo aver sfilato sotto il Trump Hotel International. C’è anche spazio per il dissenso, come quello di una coppia di turisti che non riesce a entrare in albergo, o di un signore che non può raggiungere casa: «sfigati». E chi invece, come Sarah Abdallah, domanda: «Dove erano tutti questi liberal quando Obama e Hillary hanno annientato la Libia e armato i terroristi in Siria?». La protesta va avanti. Dopo qualche ora la Quinta Avenue dalla 42esima a Central Park è zona occupata, delimitata da fumogeni e picchetti su semafori e impalcature: «New York odia Trump».
New York e non solo, perché l’ondata di protesta si solleva dai quattro angoli del Paese. Davanti alla Trump Tower di Chicago, a Los Angeles, a Washington, dove tutto parte con una fiaccolata davanti alla Casa Bianca. Manifestazioni anche in molti atenei, a partire dalla marcia organizzata dagli studenti della storica università di Berkeley, in California, culla del movimento studentesco e pacifista degli Anni 60. Proteste anche nei campus di Santa Barbara, della Temple University, e delle università della Pennsylvania e del Massachusetts. Almeno 25 città in rivolta per un totale di oltre 100 arresti, 65 di questi solo a New York, alcuni a due passi proprio da Sarah e i suoi compagni, sino a tarda notte. Sino a quando Julia e Nicholas si salutano, Ramon riprende la metro verso Brooklyn, mentre Sarah dà a tutti appuntamento alla prima di Trump alla Casa Bianca: «Ci si vede il 20 gennaio, ovviamente a DC».