La Stampa 10.11.16
E ora la guerra sulla Carta ha un sapore americano
di Marcello Sorgi
La
vittoria di Trump in Usa ha subito avuto ripercussioni in Italia sul
centrodestra, all’interno del quale crescono le speranze che l’onda
lunga americana porti alla sconfitta di Renzi il 4 dicembre, nel
referendum costituzionale. Ci crede Salvini, che con Trump ha flirtato
nell’ora più difficile della sua campagna, riuscendo a ricavarne un
contestato “selfie” a margine di un comizio. Ci crede, sotto sotto,
anche Berlusconi, che ovviamente si identifica con il personaggio
dell’imprenditore outsider. Ma se il fronte del “No” aveva ed ha
possibilità di battere il “Sì” prima e dopo l’esito a sorpresa delle
presidenziali americane, difficilmente questo potrà influire sulle
prospettive del centrodestra italiano, che ha mantenuto tutte le sue
divisioni anche nella campagna per forza di cose unitaria per il
referendum, e continua a soffrire per la presenza, nel campo populista e
della politica antisistema, del Movimento 5 stelle. In questo senso, se
il 4 dicembre sarà il “No” a prevalere, difficilmente i leader
dell’ex-coalizione berlusconiana potranno intestarsi una vittoria che
invece potrebbe dare a Grillo - che non a caso ieri si è iscritto al
partito di Trump - la spinta decisiva per arrivare sempre più vicino al
governo del Paese alle prossime elezioni politiche.
Ma il successo
di Trump e il conseguente inaspettato (dai media e dai sondaggisti
americani) collasso della candidatura di Hillary Clinton parlano anche a
Renzi. Il leader del Pd e presidente del consiglio, pur essendo al
potere da ormai due anni e mezzo, non può essere assimilato tanto
facilmente all’ex-first lady e ex-segretario di Stato battuta nelle
urne. Renzi ha infatti radici ancora forti nella rottamazione, che lo
portò prima alla guida del partito e poi a Palazzo Chigi, e non ha
condiviso con i suoi avversari interni del Pd la lunga e usurante
stagione di governo e di opposizione della Seconda Repubblica. E se
riesce a non apparire a tutti gli effetti membro dell’establishment
(dove a un certo punto si era stranamente integrato), se recupera, come
sta cercando di fare, ad esempio rispetto alle autorità europee, la sua
identità da contestatore, se corregge alcuni errori dì superficialità
nei confronti degli elettori più di sinistra del suo partito (le classi
medie impoverite ci sono anche qui, forse perfino più che in America),
non è detto che da ora al 4 dicembre non possa recuperare. In fondo,
come gli ha consigliato il boss di Eataly Farinetti, gli basterebbe non
essere antipatico. «Nasty», avrebbe detto Trump, anche se la traduzione
non è letterale.