giovedì 10 novembre 2016

Corriere 10.11.16
Senza la sponda dell’America il premier sembra più solo
di Massimo Franco

Beppe Grillo spera in un effetto Donald Trump sul referendum del 4 dicembre: a sfavore di Matteo Renzi e del Sì, naturalmente. È improbabile. L’impatto delle presidenziali americane non va sopravvalutato: così come appariva fuori luogo la fiducia del fronte governativo di trarre vantaggio dall’asse con Barack Obama e, in caso di vittoria, con Hillary Clinton. L’esultanza del M5S e della Lega, tuttavia, si comprende. Il governo aveva dato per scontata, platealmente e in modo maldestro, l’affermazione della candidata democratica alla Casa Bianca. I risultati lo spiazzano e lo mettono in difficoltà.
In pochi giorni, dopo lo scontro sui conti con la Commissione Ue, è franata l’«altra sponda»: quella americana, su cui Renzi mostrava di voler scommettere anche per puntellarsi agli occhi dell’Europa.
Correttamente, Palazzo Chigi fa gli auguri al 45° presidente Usa e si dice «convinto che l’amicizia resti solida e forte». Pochi dubbi, in proposito: tra i due Paesi i legami e gli interessi comuni rimangono intatti. Ma dal punto di vista politico e psicologico quanto è avvenuto lascia una traccia. Renzi sa di avere un inquilino della Casa Bianca esaltato dai suoi avversari e bistrattato, fino a ieri, dal Pd.
In più, proprio ieri la Commissione Ue ha reso note le previsioni di crescita. E sono stime al ribasso per l’Italia: più 0,7 per cento nel 2016 e più 0,9 nel 2017, mentre pochi mesi fa si parlava di più 1,1 e più 1,3. Cresceranno anche il debito pubblico e la disoccupazione, seppure di poco. Insomma, un quadro ideale per le opposizioni, che infieriscono su uno «psicodramma in casa Renzi»; ma litigano tra di loro per chi sia il partito più vicino a Trump: con la Lega pronta a rivendicare il primato contro un M5S lesto a «saltare sul carro».
È una corsa affannosa e un po’ grottesca. Grillo paragona il voto anti-establishment dell’America a quello al M5S. E Salvini osserva che «è la rivincita del popolo, che batte i poteri forti 3 a 0». Lo sostiene anche Forza Italia, con parole molto simili. E insieme vedono nel risultato un’accelerazione della fine della fase renziana e di un «presidente del Consiglio non eletto»; ma anche come l’occasione per criticare giornali, tv, sondaggisti, bollati come espressioni di un sistema elitario che ha perso il contatto con l’opinione pubblica occidentale.
Renzi ora vede una sfida referendaria «da affrontare con il sorriso». E il ministro Graziano Delrio spiega che non si voterà «la riforma di Renzi, ma qualcosa che riguarda la vita della gente». I sondaggi si confermano un’incognita per tutti. La strada, tuttavia, è in salita. Non è l’elezione di Trump in sé a proiettare ombre sul referendum. Ma il suo trionfo conferma che l’onda del populismo non si ferma, e anzi conquista l’America. Renzi è stato nominato premier per arginarla. Invece si ritrova davanti un nemico più forte di prima.