La Stampa 10.11.16
Svolta nei rapporti con Israele e Iran
di Mordechai Kedar
Il
fattore principale che rende trascinante Trump non sono le informazioni
o i dati, bensì le sue emozioni. È un tratto caratteristico degli
imprenditori di successo, che pensano di sapere tutto e che nessuno sa
tutto meglio di loro. Questi personaggi si dicono: «Sono un miliardario,
mentre il mio consigliere riceve uno stipendio. Se fosse più
intelligente di me sarebbe lui il miliardario e io vivrei del mio
stipendio». Molto probabilmente Trump pensa, e prende decisioni come un
imprenditore e a guidarlo saranno interrogativi come «cosa è meglio per
l’America, cosa la rende più forte, cosa promuove i suoi interessi, cosa
rafforza l’economia, cosa crea più posti di lavoro, chi sono i nostri
alleati e chi sono i nostri nemici».
Se questi sono gli interrogativi dietro alla politica di Trump in Medio Oriente, avrà le seguenti caratteristiche.
Primo.
La sua politica si baserà sull’assegnazione delle etichette di «amico e
alleato» o «nemico». Facendo così tornerà alla terminologia di George
W. Bush, che parlava dei «nostri amici e alleati». Obama era stato cauto
a evitare questa espressione, che implicava che tutti gli altri erano
«nostri nemici». Credo che Trump definirà Israele in termini adulatori
come «il nostro migliore alleato», e forse manterrà la sua promessa di
spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme. L’affinità mentale e ideologica
tra Trump e Netanyahu produrrà un clima positivo che porterà i due a
scambiarsi idee e cooperare. In questo modo Trump rimedierà alla
situazione che ha gettato un’ombra sulle relazioni tra Israele e Usa
negli ultimi otto anni di permanenza di Obama alla Casa Bianca. Trump
però potrebbe perdere la pazienza e dire a Netanyahu qualcosa come: «Mio
caro amico, dopo 50 anni di occupazione, potresti gentilmente sederti a
un tavolo con i tuoi vicini arabi e raggiungere un accordo. Hai sei
mesi per farlo. Se non ci riesci, allo scadere di questi sei mesi sarò
io a risolvere il problema, con i miei mezzi, e faresti meglio a non
costringermi a farlo». Trump potrebbe perfino giustificare questo diktat
con la sua decisione di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme.
Questo approccio molto business - riconoscere Gerusalemme in cambio
dell’abbandono della Giudea e della Samaria - sarebbe un problema molto
serio per Israele, soprattutto alla luce del fatto che Congresso e
Senato sono ora in mano ai repubblicani e sarà difficile che inviteranno
Netanyahu a pronunciare un discorso contro la politica del presidente,
come successe con Obama.
Secondo. Trump probabilmente tratterà
molto bene il presidente egiziano al-Sisi, perché lui combatte i
terroristi islamici, l’elemento che fa più paura a Trump. La sua
posizione verso l’Arabia Saudita sarà probabilmente molto fredda, a
causa del ruolo dei sauditi negli attacchi dell’11 settembre, del denaro
investito dai sauditi nella diffusione dell’islam wahhabita negli Usa e
nel resto del mondo e del loro sostegno ai terroristi, soprattutto in
Siria.
Terzo. Possiamo aspettarci che Trump raggiunga una chiara
intesa sul Medio Oriente con Putin, sia perché Putin, secondo Trump, sta
facendo la cosa giusta a eliminare il terrorismo islamico che minaccia
l’integrità e l’esistenza stessa della Siria, e anche perché Putin ha
già preso in mano le vicende mediorientali che Trump vede come un guaio
in cui nessuna persona normale vorrebbe infilarsi. Credo che Trump
auguri a Putin di avere successo nell’eliminare il terrorismo in Siria,
senza alcun coinvolgimento americano. Se Putin chiederà un aiuto degli
Usa nella guerra contro l’Isis, Trump sarà felice di cooperare.
Quarto.
Trump ha detto diverse volte che l’accordo sul nucleare con l’Iran è
una pessima intesa, e che farà il possibile per cancellarla. Se fossi un
ayatollah comincerei a preoccuparmi per quella che sarà la politica di
Trump nei confronti dell’Iran.
(Traduzione di Anna Zafesova)