il manifesto 10.11.16
La sconfitta di Hillary rallegra i leader arabi
Anche la destra israeliana festeggia pensando che con Trump alla Casa Bianca lo Stato di Palestina sparirà dall'agenda
di Michele Giorgio
Diversi
leader mediorientali hanno applaudito alla notizia che Hillary Clinton
non sarebbe diventata presidente. Davanti ai loro occhi loro è balenata
la possibilità di rilanciare le relazioni con gli Stati Uniti
sfilacciate dalle divergenze sorte con Barack Obama sulla crisi siriana,
l’accordo sul programma nucleare iraniano e il rapporto con gli
islamisti, in particolare con i Fratelli musulmani. Per questo
l’egiziano Abdel Fattah al Sisi è stato tra i primi a telefonare a
Donald Trump per fargli le congratulazioni, auspicando una nuova era
nella collaborazione tra i due Paesi. Trump ha ringraziato e si è
augurato di rivedere il presidente egiziano che ha già incontrato a New
York due mesi fa. È ancora presto ma i rapporti difficili Usa-Egitto,
che hanno spinto al Sisi a gettarsi tra le braccia di Putin, potrebbero
essere finiti.
Hillary Clinton, quando era segretario di stato,
aveva stabilito buoni rapporti con il presidente Mohammed Morsi e i
Fratelli Musulmani cacciati dal golpe militare del 2013 e ieri alcuni
deputati egiziani, intervistati da al Ahram, prevedevano che Trump darà
una spallata agli islamisti. Secondo il Cairo Obama ha sperperato
miliardi di dollari per sostenere movimenti islamici credendo che
fossero moderati e Clinton avrebbe fatto altrettanto. Trump perciò è
visto come un “liberatore”. Al Sisi forse conta sul presidente americano
eletto anche per mettere fine alla crisi con l’Arabia saudita. Riyadh,
di fronte al cambio di rotta del Cairo nel sistema di alleanze
regionali, ha sospeso le forniture di greggio previste dal piano di
aiuti e investimenti da 23 miliardi di dollari promessi all’Egitto prima
dell’estate. Una mossa alla quale al Sisi ha reagito lasciando
intendere di poter stringere un accordo petrolifero con l’Iran. E due
giorni fa una corte di appello egiziana ha confermato l’annullamento
dell’accordo con l’Arabia Saudita di cessione delle isolette di Tiran e
Sanafir.
Ad ostacolare un ipotetico tentativo di Trump di
convincere sauditi ed egiziani a ricucire lo strappo, ci sono le
dichiarazioni fatte in campagna elettorale del presidente eletto su una
possibile riconciliazione tra gli Usa e la Siria di Bashar Assad in nome
della lotta al terrorismo, uno sviluppo che farebbe precipitare al
punto più basso i rapporti con il re saudita Salman che per anni ha
chiesto senza successo a Obama la testa del presidente siriano. Trump ha
buone possibilità anche di riavvicinare la Turchia. Sulle relazioni tra
Ankara e Washington però pesa il macigno della mancata estradizione
dagli Usa di Fethullah Gülen, il predicatore nemico di Erdogan che il
regime turco accusa di aver organizzato il fallito colpo di stato della
scorsa estate.
La vittoria di Trump ha riportato in primo piano
l’accordo internazionale sul nucleare iraniano. In campagna elettorale
il tycoon ha avvertito che avrebbe rinegoziato il trattato e tenendo
presente che il Congresso è nelle mani dei Repubblicani ostili
all’intesa, il presidente iraniano Hassan Rohani è stato rapido ieri
mattina a chiarire che gli Stati Uniti non hanno più alcuna possibilità
di utilizzare la “iranofobia”. «Non si tratta di un comune accordo con
un Paese o con un governo ma di una risoluzione del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite. Ciò significa che l’accordo non può
essere modificato sulla base della decisione di un determinato governo»,
ha detto Rohani. Israele però non si lascerà scappare questa ghiotta
occasione per provare a rimescolare le carte. Il premier Netanyahu ieri
ha definito il nuovo presidente Usa «un amico sincero» dello Stato
ebraico. Il suo giornale di riferimento, Yisrael HaYom, ha celebrato la
vittoria di Trump destinata a rafforzare la destra israeliana e il
movimento dei coloni che ha già invitato Trump a visitare gli
insediamenti ebraici in Cisgiordania. Il ministro Naftali Bennett, uno
dei leader dei nazionalisti religiosi, ha commentato che il successo di
Trump ha «messo fine all’era dello Stato palestinese». La nuova
amministrazione Usa, ha replicato il portavoce dell’Anp Nabil Abu
Rudeina, deve «rendersi conto che raggiungere la stabilità e la pace
nella regione passa attraverso la soluzione della questione palestinese
in accordo con la legittimità internazionale».