il manifesto 10.11.16
Quelle urne sommerse da sessismo e razzismo
Elezioni
Usa. Un commento inedito della filosofa statunitense a proposito
dell'elezione presidenziale di Donald Trump. «Con quali condizioni
abbiamo a che fare se l’odio più scatenato e la più sfrenata smania di
militarizzazione riescono a ottenere il consenso della maggioranza?»
di Judith Butler
Due
sono le domande che gli elettori statunitensi che stanno a sinistra del
centro si stanno ponendo. Chi sono queste persone che hanno votato per
Trump? E perché non ci siamo fatti trovare pronti, davanti a questo
epilogo? La parola «devastazione» si approssima a malapena a ciò che
sentono, al momento, molte tra le persone che conosco. Evidentemente non
era ben chiaro quanto enorme fosse la rabbia contro le élites, quanto
enorme fosse l’astio dei maschi bianchi contro il femminismo e contro i
vari movimenti per i diritti civili, quanto demoralizzati fossero ampi
strati della popolazione, a causa delle varie forme di spossessamento
economico, e quanto eccitante potesse apparire l’idea di nuove forme di
isolamento protezionistico, di nuovi muri, o di nuove forme di
bellicosità nazionalista. Non stiamo forse assistendo a un backlash del
fondamentalismo bianco? Perché non ci era abbastanza evidente?
Proprio
come alcune tra le nostre amiche inglesi, anche qui abbiamo maturato un
certo scetticismo nei riguardi dei sondaggi. A chi si sono rivolti, e
chi hanno tralasciato? Gli intervistati hanno detto la verità? È vero
che la vasta maggioranza degli elettori è composta da maschi bianchi e
che molte persone non bianche sono escluse dal voto? Da chi è composto
questo elettorato arrabbiato e distruttivo che preferirebbe essere
governato da un pessimo uomo piuttosto che da una donna? Da chi è
composto questo elettorato arrabbiato e nichilista che imputa solo alla
candidata democratica le devastazioni del neoliberismo e del capitalismo
più sregolato?
È dirimente focalizzare la nostra attenzione sul
populismo, di destra e di sinistra, e sulla misoginia – su quanto in
profondità essa possa operare.
Hillary viene identificata come
parte dell’establishment, ovviamente. Ciò che tuttavia non deve essere
sottostimata è la profonda rabbia nutrita nei riguardi di Hillary, la
collera nei suoi confronti, che in parte segue la misoginia e la
repulsione già nutrita per Obama, la quale era alimentata da una latente
forma di razzismo.
Trump ha catalizzato la rabbia più profonda
contro il femminismo ed è visto come un tutore dell’ordine e della
sicurezza, contrario al multiculturalismo – inteso come minaccia ai
privilegi bianchi – e all’immigrazione. E la vuota retorica di una falsa
potenza ha infine trionfato, segno di una disperazione che è molto più
pervasiva di quanto riusciamo a immaginare.
Ciò a cui stiamo
assistendo è forse una reazione di disgusto nei riguardi del primo
presidente nero che va di pari passo con la rabbia, da parte di molti
uomini e di qualche donna, nei riguardi della possibilità che a divenire
presidente fosse proprio una donna? Per un mondo a cui piace definirsi
sempre più postrazziale e postfemminista non deve essere facile prendere
atto di quanto il sessismo e il razzismo presiedano ai criteri di
giudizio e consentano tranquillamente di scavalcare ogni obiettivo
democratico e inclusivo – e tutto ciò è indice delle passioni sadiche,
tristi e distruttive che guidano il nostro paese.
Chi sono allora
quelle persone che hanno votato per Trump – ma, soprattutto, chi siamo
noi, che non siamo state in grado di renderci conto del suo potere, che
non siamo stati in grado di prevenirlo, che non volevamo credere che le
persone avrebbero votato per un uomo che dice cose apertamente razziste e
xenofobe, la cui storia è segnata dagli abusi sessuali, dallo
sfruttamento di chi lavorava per lui, dallo sdegno per la Costituzione,
per i migranti, e che oggi è seriamente intenzionato a militarizzare,
militarizzare, militarizzare? Pensiamo forse di essere al sicuro, nelle
nostre isole di pensiero di sinistra radicale e libertario? O forse
abbiamo semplicemente un’idea troppo ingenua della natura umana?
Con
quali condizioni abbiamo a che fare se l’odio più scatenato e la più
sfrenata smania di militarizzazione riescono a ottenere il consenso
della maggioranza?
Chiaramente, non siamo in grado di dire nulla a
proposito di quella porzione di popolazione che si è recata alle urne e
che ha votato per lui. Ma c’è una cosa che però dobbiamo domandarci, e
cioè come sia stato possibile che la democrazia parlamentare ci abbia
potuti condurre a eleggere un presidente radicalmente antidemocratico.
Dobbiamo prepararci a essere un movimento di resistenza, più che un
partito politico. D’altronde, al suo quartier generale a New York,
questa notte, i supporter di Trump rivelavano senza alcuna vergogna il
proprio odio esuberante al grido di «We hate Muslims, we hate blacks, we
want to take our country back».
(traduzione di Federico Zappino)